On the Beach at Night Alone: le salmastre solitudini di Hong Sangsoo

Il mare d’inverno, naturalmente. E l’umana resistenza, che si aggrappa al sentimento dell’incertezza, della mutevolezza. E l’universo della finzione, il cinema che narra se stesso nei corpi in dissolvenza tra vita e set di attori, registi. E camere d’albergo, bar e ristori di periferia, spazi transitori per figure in transito. La struttura disambigua del cinema di Hong Sangsoo si solidifica sempre più, di film in film, sull’instabile rapporto tra la vita e i viventi, tra il tempo esistenziale e quello vissuto, tracciando la linea maestra della visione del mondo del suo autore, il sentimento dei sentimenti che si incarnano in relazioni mutevoli, volubili nella loro irresoluta testardaggine. Sono vent’anni che questo lieve e profondo regista sudcoreano mantiene fede a una narrazione del mondo inscritta nell’orizzonte fluido di personaggi che brancolano nella luce tiepida delle loro insicurezze, biografie malinconiche iscritte nelle derive dei loro sentimenti, tra storie d’amore sfuggite, ritorni inappropriati, casuali incontri di solitudini alle quali non è data troppa speranza di redenzione. Minimi spostamenti progressivi di un filmare che compone un ritratto sempre più compiuto della vita a metà in cui sembra concludersi, per questo autore, l’umana esperienza.

Alla Berlinale 67 Hong Sangsoo è in Concorso con On the Beach at Night Alone (Bamui haebyun-eoseo honja), ennesimo capitolo di questa narrazione, dittico in trasparenza sulla storia di una donna, Younghee, un’attrice di successo, che in due capitoli (s)connessi segue la deriva della sua delusione amorosa: il regista di cui è stata l’amante l’ha lasciata e lei ha deciso di uscire di scena. La troviamo sola, in vacanza da se stessa, nella prima parte in una imprecisata città straniera, in visita a un’amica con la quale trascorre il suo tempo tra librerie, bar e una spiaggia. Nella seconda parte è invece in una città della costa coreana del sud, Gangneung, dove torna a trovare vecchi amici, il suo ex ragazzo che ora ha una compagna e gestisce un ristorante sul mare, infine arriva anche il suo ex amante… Il divenire degli eventi si azzera sui minimi spostamenti emotivi della donna, leggeri slittamenti tra la delusione, la rabbia, la serenità, piccole disfunzioni nelle relazioni tra passato e presente. Hong Sangsoo insiste ovviamente sulla tenuta instabile del gioco tra i personaggi, dialoganti nella solita rohmeriana disputa tra passione e distacco, partecipazione e introflessione, insiemi e solitudini. La camera osserva con rispetto, preferisce come sempre definire campi e piani su un decoupage che funziona non per stacchi ma per subitanee zoommate. La temperatura tiepida dei colori attiene alla relazione necessaria tra lo spazio svuotato dei luoghi colti fuori stagione e le emozioni depressurizzate delle figure in campo. Poi Younghee è una figura che ha qualcosa di fantasmatico, sembra transitare tra il suo essere persona e il suo essere attrice, come quando da un momento all’altro slitta su accensioni emotive inattese, urlando cattiverie ai suoi amici, che infatti reagiscono come di fronte alla scena di un film. Il passato grava come un tempo infinito sulla finitezza del presente, concluso in se stesso eppure accessibile a torsioni un po’ surreali. Su tutte la presenza incongrua, fuori luogo nel suo irrompere in scena, di un uomo, uno sconosciuto che sembra quasi essere l’incarnazione del dispositivo stesso del cinema di Hong Sangsoo. Non è nessuno, eppure è lui il perturbante inespresso: ora appare nella prima parte, correndo verso le due protagoniste per chiedere incongruamente l’ora e poi per portare via, caricandosela a spalla, Younghee nel finale sulla spiaggia, quasi rapendola alla scena, al film, a quella finzione; nella seconda parte è invece una presenza assurda tra i protagonisti, lì sul balcone dell’appartamento affittato, a pulire ossessivamente la vetrata della finestra e poi a guardare il mare dal balcone, visibile e invisibile, controfigura di un set che Hong Sangsoo sente come un perturbante da materializzare.