Su Netflix Rebecca di Ben Wheatley, un remake all’ombra di Hitchcock

Un’operazione di remake comporta sempre una certa dose di rischio, soprattutto se il precedente è illustre. In questo caso verrebbe da dire quasi intoccabile, trattandosi del più noto e venerato regista inglese, il genio della suspense Alfred Hitchcock, e della sua opera che vinse ben due Oscar, quello per miglior film e migliore fotografia nel 1941. Il titolo in questione è Rebecca, la prima moglie a sua volta adattamento del romanzo di Daphne du Maurier pubblicato alla fine degli anni Trenta. E se nel 1940 la produzione portava la magniloquente etichetta della Selznick International Pictures, nell’anno da poco terminato è stato il colosso Netflix ad affidare la regia di questa nuova versione del classico hitchcockiano al britannico Ben Wheatley (Killer in viaggio, Free Fire).
Rebecca si mantiene abbastanza fedele al romanzo originale e alcune scene sono quasi speculari a quelle del film di Hitchcock, ma rimane ben poco della tensione psicologica che abitava quella prima versione e che ne costituiva uno dei punti di forza. Wheatley sembra più interessato a lavorare su scelte estetiche e sulla ricerca dell’effetto glamour prestando particolare attenzione ai costumi e ai colori, utilizzati con un simbolismo spesso didascalico: le luci calde e gli abiti pastello della prima parte dai toni melò lasciano spazio a quelli algidi della seconda, gotica e cupa.

 

 

Il più evidente punto debole sta però in alcune scelte di cast: nella parte che un tempo fu di Laurence Olivier, Armie Hammer, ingabbiato nel ruolo dell’affascinante tenebroso, non riesce a attribuire nessuno spessore psicologico e caratteriale al personaggio di de Winter, né a rappresentare il supplizio di un uomo tormentato con un segreto da nascondere. A vestire i panni della seconda signora de Winter è invece Lily James, che nel suo tentativo di seguire le orme di Joan Fontaine risulta piuttosto scialba. E in generale, la complicità nella coppia Hammer-James è inesistente. Al contrario, Kristin Scott Thomas è molto brava nel ruolo della signora Danvers, la severa governante che vive nel ricordo della defunta e inarrivabile Rebecca. La regia di Wheatley, che pure è un regista interessante, prosegue per due ore nell’assenza di particolari guizzi creativi e senza la reale volontà di plasmare il complesso e stratificato materiale narrativo a disposizione; fanno eccezione solo due momenti che riaccendono l’attenzione dal punto di vista visivo: un incubo dove il pavimento della casa è infestato dall’edera e un breve intermezzo visionario e psichedelico durante il ballo in maschera a Menderley. E anche l’epilogo finale sull’amore è stucchevole e banale con la voce fuori campo di Lily James che, consapevole di essere ora la sola signora de Winter, rivolge un rapido sguardo in macchina che semplifica all’estremo un intero percorso di indagine psicologica.