Su Prime Video Palm Springs di Max Barbakow ovvero come fare esplodere il tempo

Certo dal titolo non gli si darebbe un soldo a questo film. Max Barbakow, d’altra parte è all’esordio nel lungometraggio, dopo una discreta gavetta nel misconosciuto universo del cortometraggio. Ma, come sempre, la sperimentazione empirica che per lo spettatore vuol dire vedere il film, consente che l’atteggiarsi dell’apparenza possa mutarsi in concreta possibilità di accettazione che per lo stesso spettatore significa soddisfazione della visione. Quindi mai fermarsi alle apparenze. La vicenda di Palm Springs è quella di Nyles che da tempo è entrato in un loop temporale dal quale non riesce ad uscire. Per un caso del tutto fortuito anche Sarah finirà in questo rocambolesco avvitarsi del tempo. Il giorno che si ripete è il 9 novembre, l’occasione è il matrimonio di Tala, sorella di Sarah. In questo scenario, come in una vite senza fine, il 9 novembre si ripete incessante. Messo alle strette Nyles, sorseggiando incessantemente birra durante tutto il film, intanto si innamorerà di Sarah e dovrà prendere una decisione.  Il film, proprio per l’esplicitazione sulla quale si sviluppa la sua “non storia”, è del tutto evidente che mutui i suoi assunti essenzialmente da Ricomincio da capo di Harold Ramis e per altri versi e dettagli anche da Dark, serie Sky di matrice tedesca dove come su un nastro di Moebius si gioca con i livelli temporali con l’ausilio di una grotta, proprio come accade nel film di Barbakow. Il tempo, la sua reiterazione priva di giustificazioni, l’essere intrappolati in una dimensione che sfrutta la replica di un tempo eternamente uguale con l’effetto di un fuori dal tempo, di una impossibilità a ristabilire relazioni vere con il tempo che altrove scorre, con l’effetto di una estraniante situazione rispetto alla contemporaneità, costituiscono i fondamenti all’interno dei quali Sarah e Nyles vivono questa loro assurda avventura, condita da un amore reciproco crescente e indispensabile.

 

 

Max Barbakow e il suo sceneggiatore Andy Siara compiono un lavoro, si potrebbe dire, egregio su questi assunti e sul gioco temporale che innescano. Un lavoro di tutto rispetto perché, in primo luogo prosciugano il film da ogni intellettualismo rischioso sui temi dell’esistenza e non hanno timore di trasformare il tema serio e quotidiano dell’angoscia del tempo in giocosa commedia del nonsense, apparentemente senza capo né coda, un po’ alla Gondry. Il tema c’è, è del tutto ovvio, ma è celato sotto una coltre ben spessa di colore, di aria da commedia, di vaga spensieratezza propria del luogo, quella Palm Springs, città ideale per i consumisti del secolo scorso e per quelli di quello in corso, nota per le sue terme, gli alberghi di lusso, i campi da golf e i centri benessere, tutto affogato nel deserto di Sonora nel sud della California. Insomma, un luogo per ricchi. La seconda ragione per cui il lavoro di scrittura e di messa in scena diventa di buona fattura è dovuta a quanto si anticipava. È del tutto evidente, e le interviste del regista lo confermano, che Palm Springs debba molto a Ricomincio da capo a partire da quel Sveglia…buongiorno marmottina di ogni incipit mattutino. È proprio la sua esplicita citazione, anzi addirittura quel qualcosa di più di una citazione che potrebbe ritrovarsi espresso dal motto latino mutatis mutandis, che fa diventare il film una specie di falso remake del precedente. Tutto ciò contribuisce a rendere apprezzabili le intenzioni degli autori e a seguire anche la messa in opera della sceneggiatura. Si sente un’umiltà latente che diventa ammirazione per quel film che sa diventare – insieme al citato Jurassic Park – nume tutelare di un’avventura visiva piacevole, eccentrica, stravagante, divertente e per nulla banale.

 

 

Il terzo motivo che induce ad apprezzare il film è il lavoro quasi subliminale che l’elaborazione della scrittura ha saputo attribuire al tema del tempo ripetuto e tutto sommato sicuro. È questa la vita di Nyles e Sarah, quella di un tempo eternamente declinato al presente dove la morte e le preoccupazioni non esistono, un mondo in cui vi è la certezza del giorno dopo ed è abbandonata ogni paura del futuro, che li fa vivere in questo immenso e sicuro presente, che diventa, soprattutto per Nyles, una piacevole gabbia dorata dentro la quale consumare l’esistenza come se non esistesse un domani. Palm Springs in questa accezione silentemente pessimista sembra fare a pugni con se stesso, con i suoi colori sgargianti, con la sua aria da liceale in vacanza, con la sua vita dorata vista e vissuta, con la sua (fasulla) leggerezza un po’ stupida con cui si presenta nel suo incipit nel quale, altrettanto esplicitamente, cita, nell’inquadratura stretta dall’incavo del ginocchio femminile, Il laureato di Mike Nichols, epocale film sulla paura del presente e del futuro che, ancora una volta, con spericolata abilità, Palm Springs sa agganciare e fare diventare ulteriore angelo protettore per un cinema che sembra ripetersi nel tempo, rimangiare se stesso e, senza autocelebrazione, rideterminare il proprio tempo. È forse per questo che il film Barbakow, visto sotto la giusta luce, diventa uno dei film, non si vuole dire il più bello, ma uno dei più lucidamente radicati in questo 2020 così indimenticabile per averci chiuso non solo in un infinito lockdown, ma anche in una specie di bolla temporale dalla quale non sembriamo mai pronti ad uscire. Una rideterminazione del tempo che ha stravolto le nostre abitudini, i nostri bioritmi, adattandoci ad una nuova forma relazionale, in cui il tempo si è dilatato e la dimensione sociale si è quasi annullata. Forse, in fondo, come Sarah vorremmo uscire da questa anomala condizione, ma come Nyles forse ne abbiamo anche un po’ paura per quello che il futuro sconosciuto potrà rivelarci. In questa doppiezza che Palm Springs sa mostrare, la riconoscibilità di una condizione che ci appartiene, tra speranze e desideri, paure e curiosità. Ma c’è necessità di uscire da questo loop. Quindi tutti dentro la caverna a fare esplodere il tempo, per ritrovare il piacere del suo avverarsi.