Vivere sotto assedio: The Invasion di Sergei Loznitsa, a Cannes 77

“Ho realizzato questo film con un profondo dolore nel mio cuore e con un grande amore per il mio Paese. Questo film è nato dalla compassione”, dichiara il documentarista ucraino Sergei Loznitsa nelle note di regia. È marzo 2022 quando Fabrice Puchault di Arte Tv lo contatta per chiedergli di documentare l’invasione russa dell’Ucraina. Loznitsa accetta, nella consapevolezza di non poter restare in silenzio, inattivo. Senza avere ancora un’idea precisa della forma che il film avrebbe preso, ma con una consapevolezza: fornire una prova, una cronaca della vita quotidiana del suo Paese sotto l’assedio. Tra le proiezioni speciali del programma di Cannes 77, l’imperdibile The Invasion (L’invasion) è stato quindi girato nell’arco di due anni, per certificare, riaffermandola, la volontà di resistere all’attacco russo alla libertà di una nazione, il suo pieno, indiscutibile diritto a esistere. Presto arriva anche la forma narrativa: sostanzialmente, una serie di cortometraggi, o di episodi compiuti, a sé stanti, tra i cinque e i venticinque minuti, che Loznitsa comincia a montare a novembre del 2023. Se nel suo film più vicino a questo, Maidan, riprendeva le proteste di piazza di fine 2013 contro il presidente ucraino Viktor Yanukovych, poi fuggito in Russia, in The Invasion, seguendo lo stesso metodo di osservazione, il regista non interagisce con le persone che riprende, non impone didascalie, voci narranti né tantomeno vuole raccogliere testimonianze (il parlato è davvero molto limitato) ma vuole restituire l’evidenza di tutti i giorni.

 

 

Non registra le (presunte) cause, ma gli effetti, le conseguenze del conflitto. Pratiche, tangibili, universalmente e immediatamente comprensibili: in prima istanza il tempo del lutto, con le macchine da presa testimoni mute di orazioni funebri silenziose e composte. Tra cui quella di un soldato ventunenne, pianto, tra i tanti, anche dal padre in divisa. La voce del sacerdote che ricorda di averlo battezzato, in quella stessa chiesa. A seguire, altre situazioni “ordinarie” di vita da assediati, il battito vitale che risuona anche in mezzo alla follia: la cittadinanza che fa la fila per prendere l’acqua potabile, raccogliendola in grandi taniche e boccioni di plastica. Un neonato coccolato dalla donna corpulenta che lo ha appena partorito e dal suo compagno, minuto, in mimetica. Alcuni volontari dell’esercito che si travestono per i bambini sotto la neve e distribuiscono loro regali, tutti uguali, di Natale. L’insegnante che fa lezione a dei piccoli traumatizzati, dai disegni eloquenti, e quando scatta l’allarme aereo li porta a mangiare nel piano sotterraneo.

 

 

Adulti che affrontano il rito del battesimo immergendosi nell’acqua gelida. Casse di libri, tra cui anche diversi classici russi, disgraziatamente trasportate verso la distruzione, al macero. Le esercitazioni di tiro di chi, da civile, perfino da anziano, si è ritrovato un fucile in mano. La celebrazione di matrimoni, essenziali eppure partecipati. La riabilitazione fisica, lenta e silenziosa in palestra o piscina, di chi al fronte ha perso uno o più arti. Gli artificieri che lavorano alla rimozione di mine antiuomo, in un bosco di magnifiche conifere. Un massiccio edificio dal cuore completamente sventrato ma con un’ala ancora intatta, e all’interno un inquilino che riaggiusta il suo balcone. L’anziana signora che pazientemente mette da parte, tra le macerie, i mattoni integri, che possono ancora essere riutilizzati per ricostruire una nuova abitazione. Ogni episodio si lega all’altro in maniera pudica e invisibile grazie al filo tematico di una (r)esistenza, assediata dalla follia bellica. Tutto si tiene in un film preziosissimo che, nelle parole del regista, è “un cerchio di vita avvolto dal soffio della morte”. Di una chiarezza e una lucidità esemplari. 

 

(P.S. su duels si possono leggere anche le recensioni di The Event e The Natural History of Destruction)