Trieste35 – La solitudine del pensiero che reinventa il futuro in Blackbird blackbird blackberry, di Elene Naveriani

È con una certa decisione che il cinema georgiano segna – con la sua presenza carica di una originalità non comune, conseguenza di una condizione geografica di netta cesura tra il primo oriente e l’ultimo occidente – la cinematografia di questi ultimi anni. The criminal di Dmitry Mamuliya, passato a Venezia in Orizzonti nell’edizione 2019, What Do We See When We Look at The Sky di Alexandre Koberidze, visto al PesaroFF57, e ora questo film di Elene Neveriani, nel concorso lungometraggi di Trieste 35, costituiscono tre validissimi esempi per dimostrare la vitalità di una cinematografia inattesa che sa affascinare facendo scoprire allo spettatore l’invisibile potenzialità di uno sguardo filtrato attraverso quell’irreale non percepibile o quella naturale influenza che ha sui personaggi l’ambiente dentro il quale si svolge la loro azione. Un cinema fatto di percezioni, dunque, non solo di racconto, un cinema che scopre l’inavvertibile sollevando quel velo immateriale che ci separa da una metafisica del quotidiano che solo il cinema può manifestare nella sua pienezza e nel suo distinto avvertirsi. La recente scomparsa di Otar Ioseliani, nel cui solco in fondo questi autori lavorano, sembra averne sottolineato la necessità in virtù di una assenza insostituibile. Lavora anche su questi caratteri, ma non soltanto, il film di Elene Naveriani, qui alla sua terza prova, per affrontare la storia di Etero una donna sulla soglia dei cinquant’anni che non ha mai avuto un’esperienza d’amore, ma solo la funzione di servire il padre e il giovane fratello entrambi scomparsi e di cui lei, senza troppa commozione conserva la memoria. Orfana di madre fin dalla nascita poiché morta al parto, Etero titolare di un negozio di detersivi scopre la sessualità quando si innamorerà di Murman, che di solito gli consegna la merce. La storia d’amore tra i due, come molte in età matura, non può trovare un esito felice per gli impegni di lavoro di lui, sposato e nonno di due nipoti.

 

 
Il dolore di un addio, sempre duro da digerire, si mescola per Etero con una inattesa paura di essere gravemente ammalata. La sua solitudine prenderà altre forme e altre attese segneranno la sua vita e i suoi comportamenti controcorrente con i quali ha sempre affermato la propria autonomia di pensiero continueranno a segnare la sua presenza tra le perfide amiche del piccolo villaggio dove vive. La vicenda del film, il personaggio di Etero, così distante da ogni filosofica solitudine autoimposta, sottolineano la volontà di fare di questo racconto, segnato da un realismo sempre in bilico e pronto a sconfinare dentro quel fantastico che sembra limitare con ogni quotidianità, una fantasticheria dell’immaginazione, in quella sospensione che sembra aleggiare durate tutto il film astraendo quasi, la vicenda, da quell’urgenza di realtà dentro la quale, invece, il racconto sembra obbligarci. Lo sguardo lucido e immaginato di Etero sulla propria possibile morte per annegamento nell’incipit, o le sue naturali percezioni sugli uccelli amici e sui segni che la natura lancia per chi li sa interpretare, diventano marchio preciso per una delle direzioni che il film vuole prendere e di quale sia l’ambito dentro il quale il racconto voglia andare ad indagare. Etero con il suo carattere deciso e il suo inappagato desiderio d’amore trova in Murmun l’amante perfetto con il quale condivide una matura sensibilità sessuale, scoprendo di lui il lato romantico e del tutto a lei sconosciuto privata di ogni gioia dell’amore. Ma nonostante questo perdersi quasi adolescenziale dentro l’amore, Etero conserva la propria intransigenza dei comportamenti, rivendica la propria solitudine e la propria libertà di pensiero. Il film, tratto da un romanzo scritto in prima persona, diventa il racconto di una tardiva formazione per un personaggio che, come afferma la stessa regista, diventa universale proprio in quella libertà di pensiero e comportamento che sa riaffermare portandola ad una emancipazione che diventa pretesa.

 

 
Etero con i suoi silenzi e i suoi enigmatici sguardi con la sospensione di ogni giudizio che manifesta con i suoi comportamenti, sembra erodere dal di dentro i rigidi meccanismi dell’opprimente patriarcato che vive, rompe le regole di ogni destino al femminile contro ogni imposizione della sua asfittica comunità. Il cinema di Naveriani sa guardare con acuta sensibilità a questa complessa vicenda che coinvolge una donna non più giovanissima e neppure bella, ma dotata di una volontà di ferro e di una semplice ma efficace capacità di analisi. Etero è un personaggio che costituisce da solo una specie di elogio della solitudine, non solo nel senso della quotidianità della vita, ma anche e forse soprattutto in quella autonomia del pensiero, a quel remare contro ogni convenzione sociale, diventando così l’isolamento effetto naturale di quelle scelte. Il colpo di scena finale, riapre i giochi e riposiziona di nuovo il complesso personaggio di Etero in uno sguardo al futuro per nulla banale e tutto da inventare.