Lady Gaga come si racconta: A Star is Born, di Bradley Cooper

La storia è sempre la stessa, come le note. Cambia il mondo in cui la racconti: a un certo punto la regola viene esplicitata direttamente da uno dei personaggi di A Star is Born, quasi a stabilire il terreno su cui Bradley Cooper vuole giocare la sua carta d’esordio alla regia. Non una nuova storia, ma un approccio personale a un racconto già trasposto varie volte e che ha ormai assunto lo status di archetipo, tanto da diventare anche un personalissimo veicolo per le cantanti/stelle che di volta in volta si vanno a celebrare, siano Judy Garland, Barbra Streisand o, come in questo caso, Lady Gaga. La storia di ascesa al successo di Ally/Gaga e contestuale rovina del pigmalione destinato a consumarsi negli eccessi (lo stesso Cooper), tra show business e amore senza confini, ha quindi stavolta un andamento rapsodico, costruito più attorno ai momenti in cui si innesca la chimica tra i personaggi, che sullo sviluppo vero e proprio delle situazioni. Giustapponendo episodi abbastanza slegati tra loro, con personaggi che vanno e vengono sul set, Cooper crea un film ingolfato e sfilacciato nei momenti più squisitamente recitativi (dove emergono anche alcune criticità nella recitazione dei due protagonisti, con un affiatamento che non esplode mai davvero), mentre l’equilibrio è più stabile nelle parti cantate, gratificate non solo dal talento vocale di Lady Gaga, ma anche da un romanticismo disperato che in alcuni momenti sembra andare al di là dell’afflato (auto)distruttivo un po’ di maniera, altrimenti abbastanza onnipresente.

Al di là dell’appagamento per romantici, però, A Star is Born colpisce proprio per il lavoro compiuto sull’iconografia di Lady Gaga e per come ne rovescia i presupposti. Balzata agli allori del successo attraverso performance giocate sull’eccesso di presenza, Gaga è un’artista che ha fondato la propria carriera su una smaterializzazione dell’unicità iconografica che passa per la continua mutazione fisica. Basti a ribadirlo il solo video di Bad Romance – appena insignito da Billboard del titolo di “più bello del secolo” e con ragione: un continuo tour-de-force in cui Gaga si deforma costantemente nei lineamenti, nel trucco e nella figura (ricordiamo anche Paparazzi con i corpi martoriati e offerti in ostensione allo show business). Al contrario, la Ally di A Star is Born è una figura dimessa, “bruttina”, e anche quando raggiunge la vetta è sempre pronta a sentirsi debitrice verso gli altri e in cerca di conferma. In uno dei momenti più geniali della storia, è il marito Jack a compiere una “performance estrema” sul palco urinandosi nei pantaloni, completamente ubriaco, mentre lei sta ritirando il Grammy, una scena che non stonerebbe in un video della Gaga cantante. Certo, l’andamento incerto della storia confina molte buone intenzioni ai presupposti più che allo sviluppo narrativo, ma fenomenologicamente è molto interessante che l’artista si sia messa in gioco all’interno di queste dinamiche. Lo fa ora che il suo status inizia a guadagnare rispettabilità anche presso un certo giro più ricercato di cultori della musica e quindi forse un domani potremo vedere A Star is Born come una tappa interessante di un percorso che se ha avuto le note al centro, si è comunque distinto per il come la donna ha voluto raccontare la performance e il rapporto con le forme espressive.