Venezia78: rock contro il silenzio. Alla Sic Erasing Frank di Gabor Fabricius

La follia come strategia di azzeramento della dissidenza. Al di là della Cortina di Ferro i manicomi hanno contenuto nelle loro mura ogni forma di disallineamento individuale rispetto allo schema strutturato dal sistema: figure di intellettuali, artisti, oppositori politici, semplici individui dall’orientamento personale non conforme alle aspettative istituzionali… Si nutre di questo dramma Erasing Frank (Eltörölni Frankot), l’opera prima dello scrittore e filmmaker ungherese Gabor Fabricius presentata a Venezia 78 dalla Settimana Internazionale della Critica: bianco e nero sgranato e sporco, approccio dinamico rispetto all’irrequietezza del giovane protagonista, sulla cui presenza incontenibile si concentra la macchina da presa spinta nella prassi del pedinamento quasi a contatto fisico. Róbert Frank è il cantante di una rock band ungherese, figura immaginaria ma assolutamente coerente con quella che era stata la scena musicale magiara underground di quegli anni. Siamo nel 1983 lo smantellamento della Cortina arriverà di lì a sei anni e intanto il clima nella Repubblica Popolare Ungherese è di grande pressione: Robert sale sul palco per far esplodere tutta quella rabbia, che è sua ma non solo. “Mai stare zitti” urla nel microfono mentre la polizia lo porta via. In caserma è interrogato, ma l’intervento di una sua amica psichiatra lo dirotta in un manicomio: destino condiviso con tante anime sensibili incapaci di adeguarsi al sistema e accettarlo. In realtà si tratta di un diversivo per salvarlo dal carcere e dargli l’opportunità di fuggire all’estero.

 

 

Ovviamente lo schema narrativo è utile a Gabor Fabricius per offrire un quadro flagrante di sottomissione forzata della libertà individuale al giogo del potere autoritario. L’attenzione del regista, dunque, non è orientata verso la costruzione narrativa di una salvezza nella fuga e il suo protagonista si fa carico delle stimmate della rivolta e del sacrificio sino in fondo, insistendo sulla sua caparbia incapacità di stare zitto: l’amica psichiatra gli procura un passaporto, i signori della musica di stato cercano di arruolarlo e addomesticarlo sul palco, ma il giovane Frank rispecchia se stesso nella figura quasi astratta di una ragazza che vegeta impaurita in manicomio, una sorta di spettro dolentemente reale che gli si para dinnanzi e gli impedisce di accettare la fuga. Erasing Frank racconta dunque un annientamento che si oppone alla conciliazione e lo fa con rabbia, insistendo con veemenza su una messa in scena estremamente intensa, tutta scritta addosso al protagonista, Benjamin Fuchs, con il quale il regista ha costruito un’interpretazione viscerale. Ne risulta un tour de force fisico sia per l’attore che per la macchina da presa, alla quale è affidato il lavoro sul contrasto tra la presenza fisica palpitante del protagonista che il lavoro spaziale sugli sfondi, ricostruiti con efficacia.