Due preziose testimonianze su Salvatore Giuliano di Francesco Rosi, recentemente riproposto sul grande schermo. Si tratta del cameraman Sergio Emidi e di Suso Cecchi D’Amico, co-autrice con Rosi, Provenzale, Solinas del soggetto e della sceneggiatura.
Rosi lo conoscevo dai tempi che era aiuto di Visconti, lo conoscevo bene e ho lavorato con lui spesso, tutti i suoi primi film fino a Salvatore Giuliano. Ecco, gli ultimi film che mi hanno dato l’idea che il cinema servisse a un discorso sulla società italiana, a fare chiarezza su certi problemi, sono stati quelli che ho fatto con lui. Su Salvatore Giuliano era stato fatto un lavoro di documentazione, di taglio, c’era una sceneggiatura abbastanza precisa ed è stata abbastanza rispettata, anche coi suoi spezzettamenti . Ma era Rosi a guidare tutta l’operazione, io lo seguivo, anche se a volte con qualche perplessità. Il problema era di dare un ordine ai fatti, dare al pubblico l’impressione della confusione dei fatti ma anche la possibilità di farsi un giudizio. Questi film oggi non li fa più nessuno, e nessuno chiede di farli. Io non credo fosse il pubblico a rifiutarli, anzi. Li rifiutavano i produttori, li rifiutava il governo, e la critica non è che desse un grande aiuto. E figuriamoci se la Dc poteva dare un grande aiuto a queste cose!
( dichiarazione di Suso Cecchi D’Amico tratta da L’avventurosa storia del cinema italiano a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi- Feltrinelli)
Al cimitero di Montelepre passammo una giornata che non la auguro nemmeno ai cani randagi, quando dovemmo girare una scena delle tombe di Salvatore Giuliano e di Pisciotta che stanno vicine. Entrammo con la macchina da presa nel cimitero di Montelepre, però a poche centinaia di metri ci stavano tutti i parenti, quelli che hanno un negozio di pane e una pompa di benzina. Così appena ci videro lì dentro, arrivarono i fratelli di Giuliano con la lupara a tracolla, e restammo dalla mattina al pomeriggio senza girare un metro perché loro non volevano. Invece Rosi si era intignato a voler girare e infatti poi ci riuscì, non so come ma ci riuscì; quando Rosi vuole una cosa la ottiene, con le buone o con le cattive ma la ottiene. La lavorazione di Salvatore Giuliano fu pericolosa, andavamo a lavorare con il pullman e la scorta dei carabinieri. (…) Erano posti strani. Noi non avevamo nessun contatto con la popolazione, tutti ci sfuggivano manco avessimo la peste. Insomma non volevano farsela con il cinema, tutti quelli che collaboravano con noi della troupe erano presi a Palermo. A Montelepre, a Carini, non vedevamo un’anima, ci facevano il vuoto intorno. I parenti di Giuliano, a parte quella volta nel cimitero, non comparvero mai.
( dichiarazione di Sergio Emidi tratta da L’avventurosa storia del cinema italiano a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi- Feltrinelli)