L’innocenza, la capacità di essere sinceri e diretti, l’integrità nel giudicare le proprie azioni e quelle degli altri, sono stagionali e delicate come le lucciole: durano poco più di una stagione e basta un minimo turbamento dell’ecosistema a farle sparire. Sono effimere e delicate come la giovinezza e i suoi ideali. Questo è l’assunto che sta dietro a La disparition des lucioles, terzo film di Sébastien Pilote, presentato come i due precedenti, Le vendeur e Le démantèlement, al Torino Film Festival. In una bella e tranquilla cittadina della provincia canadese, l’adolescente Léonie si dibatte ruggendo in un ecosistema di adulti che non riesce a capire e che finisce per detestare: il padre lontano, sindacalista in esilio, che nasconde un segreto imbarazzante dietro la facciata dura e pura di quello che ha sacrificato se stesso per gli altri; la madre superficiale ed egoista che lo ha lasciato per sposarsi con uno speaker radiofonico fascistoide e populista che ha contribuito alla rovina mediatica e politica dell’ex marito; il trentenne Steve che vive rintanato nella cantina della casa di sua madre a suonare e a dare lezioni di chitarra; professori distratti, compagni di scuola che fanno branco. Pilote traccia con grande attenzione il diagramma vitale di questa ragazzina in cerca di autenticità e di modelli di comportamento in un mondo fatto di assuefazioni e mezze verità, grazie anche a una sceneggiatura asciutta nei dialoghi, a una fotografia severa e all’interpretazione sfumata e coinvolgente di Karelle Tremblay nei panni della protagonista. Il risultato è un coming of age al femminile dove si sfiorano con potentissima delicatezza temi come la famiglia, la sessualità, la morte e dove, in fondo, le lucciole mostrano di essere meno fragili di quello che sembrano, dotate della resilienza che in natura accompagna sempre la continuità della vita.