Ci voleva un poeta come Roberto Mussapi per trovare una chiave colta e singolare, fra documentazione e memoria, per inquadrare la conquista della luna di cinqunta anni fa. Con Il sogno della luna – Luglio 1969: quando gli uomini hanno camminato sul loro Mito (Ponte Alle Grazie, pag.144, euro 13) l’autore di Tusitala, il narratore – Vita di Robert Louis Stevenson fa rivivere quell’impresa miscelando archetipi, suggestioni, cronaca giornalistica, storia, visioni, poesia e mito. Per dirlo con le sue parole:”Questo libro attinge alla storia, alla mitologia, alla letteratura. Scrivo capitoli ispirati a opere famose, come Dalla terra alla Luna di Verne, o meno note, ma non certo di minor valore, come Il volto della Luna di Plutarco. Racconto lo sguardo alla Luna dei grandi poeti, come Leopardi, di cui qui può essere piacevole pubblicare le due famose poesie che io ho tramutato in racconti…”
Per gentile concessione di Ponte Alle Grazie pubblichiamo un estratto da Il sogno della luna.
A love supreme
Come milioni di umani vidi alla televisione il primo uomo che metteva piede sulla Luna. Era il 20 luglio, stavo per compiere diciassette anni. Pensai che era il mio compleanno, il che mi rendeva felice di un dono del tutto immeritato ma, a parte il mio entusiasmo di ragazzo, stavo assistendo con milioni di uomini a un evento epocale, che ci affratellava. Mentre seguivo tutta l’avventura, ipnotizzato dal volto e dalla voce di Tito Stagno, che sembrava in quel bianco e nero della televisione un Albertazzi in stato di grazia, percepivo l’euforia del mondo. Una fraternità universale: le stesse parole di Armstrong sancivano una vittoria non solo degli statunitensi, ma di tutti gli uomini ispirati al Bene. Pensai, mentre vedevo quelle immagini, che immediatamente un poeta avrebbe scritto un capolavoro su quell’avventura, o anche un romanziere, forse, per certi versi, addirittura più adatto. Poiché non avevo ancora compiuto diciassette anni, o li stavo compiendo, pur sapendo che sarei stato un poeta, non conoscevo di persona nessuno degli autori anche viventi che leggevo accanitamente. Non me ne venne in mente nessuno. Ma un libro su questa avventura dovrà nascere, pensavo. Quel libro, come lo concepivo, non nacque, anche se molti furono scritti su quell’impresa. Ciò che mi emozionava, e che spero e credo emozionasse tutti gli uomini, giovani o vecchi, in quei momenti, era il senso di un’impresa nel cielo. Nessuna vanagloria dell’uomo, ma ringraziamento alla volta celeste, agli astri, alla Luna. E credo che quell’impresa, l’unica conquista umana non motivata o seguita da sete di possesso, e conseguenti espoliazioni, sfruttamenti, schiavitù, fosse il frutto di un tempo di speranza. John Kennedy l’aveva profetizzata, come aveva profetizzato la caduta del Muro di Berlino. Morì presto, lui, non il suo sogno. Anche se non manifestavano alcun rapporto con la ricerca dell’uomo per raggiungere la Luna, sentivo suonare nella mia mente il sax di John Coltrane, la tastiera di McCoy Tyner, ero posseduto dal disco che ascoltavo da anni, A love supreme. Ripeto, non parlava della Luna, il capolavoro di Coltrane, ma di un amore supremo, uno slancio verso l’assoluto. Nel 1963 era nato un capolavoro non solo musicale, ma spirituale. Coltrane ne era perfettamente, pur se umilmente, consapevole: «Mi piacerebbe mostrare alla gente il divino usando un linguaggio musicale che trascenda le parole. Voglio parlare all’anima delle persone».
Strenght to love
E mi parlavano alla mente tante righe e pagine di Martin Luther King, Strenght to Love, La forza di amare. Quello del martire nero americano era uno dei pochissimi libri del genere letti nella mia vita: non si trattava di letteratura, poesia, filosofia, antropologia, storia delle religioni, saggistica su arte o pensiero. Quel libro, La forza di amare, letto nel 1963, prefazione di Ernesto Balducci, occupa ancora uno spazio visibile nella mia biblioteca, con la sua copertina brossurata, bianco e rosso su fondo nero. Il vinile di Coltrane è sempre, nella mia discoteca, in posizione trionfale, accanto a Quiet Nights di Miles Davis: un disco incantevole di notti quiete, perfetto contraltare al capolavoro di Coltrane, mistica ascesi di visione e preghiera. Credo che quella percezione non fosse insensata: la missione di Armstrong, degli statunitensi, dell’uomo, sigillava un decennio di sogni, di speranza, aspirazione alla pace, all’amore. Non è un caso che negli anni della crisi, prima d’anima e poi economica, le spedizioni sulla Luna non susciteranno più alcun interesse. Se non senti l’anima non guardi il cielo, se non guardi il cielo perdi l’anima. Questo mio libro, non certo paragonabile al poema o al grande romanzo che allora sognavo qualcuno avrebbe scritto, è una semplice storia del sogno dell’uomo riguardo alla Luna, i sogni dei poeti, i sogni degli scienziati e degli astronauti. Poiché il rapporto con la Luna è congenito, come il senso del sacro e l’aspirazione alla bellezza, (che possono essere dimenticati e cancellati, ma sono nel nostro dna), ogni repertorio in merito è necessariamente limitatissimo. Alcuni sogni, io racconto. Il sogno della luna è un titolo che accosta due realtà affini: sono della stessa sostanza, e non inganni la considerazione che la Luna è argentea, quieta, rasserenante, nel peggiore dei casi immalinconente: ne esiste una faccia oscura, nascosta, The Dark side of the Moon, per dirla con i Pink Floyd, esattamente come il sogno affianca al viaggio estatico e paradisiaco le oscurità e le lacerazioni incubose. La Luna è l’astro più brillante del cielo notturno. La Luna è inscindibile dalla Terra, per questo la sentiamo nostra e ci sentiamo bisognosi di unirci a lei.