Dipingere è trovare un equilibrio, una soluzione, un’armonia. Questa è l’idea che innerva il pensiero di Fernando Botero, colombiano di Medellín, nato nel 1932 e scomparso ieri, artista in grado di attirare milioni di visitatori, per oltre sessant’anni protagonista della scena mondiale grazie al suo stile inconfondibile. Alla sua opera e alla sua storia è dedicato Botero – Una ricerca senza fine, film documentario di Don Millar, distribuito da Wanted Cinema e Feltrinelli Real Cinema, progetto che ambisce a ricostruire le tappe fondamentali del vissuto di uno dei più grandi artisti della storia dell’arte moderna e a restituire un ritratto autentico di un uomo mite e umile, dedito con passione al proprio lavoro di pittore e scultore, testimone di un modo di intendere l’arte unico e irripetibile. Procedendo secondo una struttura a incastro, il film sovrappone ai frammenti delle dichiarazioni dello stesso Botero e dei figli Fernando, Juan Carlos e Lina, quelli di curatori e direttori di galleria (Rudy Chiappini, Sandro Manzo), storici e accademici (Lucas Ospina, Edward Sullivan, Miriam Basilio) capaci di rivelare la profonda creatività, le convinzioni ma soprattutto lo spirito di una delle personalità più geniali del mondo dell’arte del nostro tempo.
Dai racconti dell’infanzia vissuta nella povertà, senza il padre morto prematuramente ma al fianco della madre, severa e instancabile sarta, si passa alle prime esperienze artistiche (i disegni venduti fuori dallo stadio prima della corrida), ai 7000 dollari guadagnati con Frente del mare subito investiti nel primo viaggio in Europa ricordato per due amori, due città che ancora sono scolpite nel cuore: Madrid, dove incontra i capolavori di Goya e Velázquez, e Firenze, dove matura la passione per il Rinascimento in seguito al folgorante stupore provato per l’opera di Piero della Francesca. Ipnotizzato davanti ai suoi dipinti, travolto da questa esperienza sublime, per Botero si tratta dell’incontro con l’artista prediletto, capace di conferire armonia a tutti gli elementi della sua pittura. Firenze, un museo all’aria aperta, e il Rinascimento, epoca d’oro della pittura dove si mettono a fuoco le proporzioni, i volumi, il senso della massa dei dipinti, innescano in Botero una rivoluzione interiore enorme da cui deriva la definizione del proprio stile. Se da un lato la sua arte sorprende per complessità tematiche, stratificazioni allegoriche, sottigliezza satirica, riferimenti alti alla storia dell’arte, dall’altro lato l’armonia tra le forme, le linee e i colori offrono una vasta gamma di emozioni che diverte, incuriosisce, inquieta perché riconoscibile e genuina. Il film di Millar osserva, raccoglie indizi, mostra ma poi rilancia e interpella lo spettatore precisando che l’artista è un testimone del tempo, forse la sua arte non potrà cambiare le cose ma certamente lascerà un segno tangibile da interpretare. Nella New York della Pop art e dell’espressionismo astratto, la proposta di Botero è completamente opposta: «Bisogna descrivere qualcosa di molto locale, di molto circoscritto, qualcosa che si conosce benissimo, per poter essere compresi da tutti. Per poter essere universale bisogna essere locali. C’era la dittatura dell’astrattismo. Nessuno voleva toccarmi, come se fossi un lebbroso perché facevo arte figurativa».
Attraverso il suo stile riconoscibilissimo e locale, con la sua pittura rotonda, materica e sensuale, Botero ritrae momenti di vissuto personale (la morte del terzo figlio Pedrito in un incidente stradale ispirerà diverse opere) ma anche di risonanza politica (la scultura della colomba della pace collocata affianco di quella identica fatta esplodere in un attentato terroristico a Medellín, ai tempi di Escobar); ammiccando con grandi dosi di humor e satira, in diverse occasioni si rivolge alle istituzioni che hanno avuto un ruolo importante nella vita dell’America Latina come le famiglie presidenziali, i dittatori, le gerarchie sociali. Il suo approccio fantastico e ironico non deve essere equivocato. L’arte «deve dare piacere, perché la realtà è arida» ma non per questo il film di Millar manca di sottolineare il Botero più provocatorio e crudo come emerge dal ciclo di opere dedicate alle torture dei militari statunitensi nel carcere iracheno di Abu Ghraib, volte a sensibilizzare il pubblico e a far conoscere un soggetto così violento. Il cerchio si chiude con l’unione famigliare (sancita e ribadita ogni anno nella casa di Pietrasanta, in Toscana), il ritorno a Bogotà e a Medellín con le donazioni delle proprie opere, la straordinaria accoglienza in Cina dove oltre 700.000 persone hanno visitato la sua mostra, e una grande verità: «il dono più grande che può farti l’universo è mostrarti qual è la tua vera passione fin da piccolo».