Le Nuvole Salani è il nuovo marchio per la narrativa a fumetti che durante il 2020 sta riproponendo tutta la Mafalda di Quino in cinque volumi. Mafalda è un personaggio nato nel 1963, su commissione. Quino (che era nato in Argentina, a Mendoza nel 1932) ricordava: «Quando cominciarono a pubblicarla mi resi conto che avevo a che fare con un personaggio che nemmeno io sapevo come sarebbe stato». Ovviamente fra la commissione pubblicitaria (per una marca di lavatrici) e l’evoluzione del personaggio per un settimanale (Primera Plana) la differenza è palese: «Mafalda la feci arrabbiata e contestataria. Ma non sapevo che avrei passato anni della mia vita a disegnarla». L’ispirazione dei Peanuts appare chiara: i bambini discorrono della vita e dei problemi come se fossero adulti. Per una trentina di strisce lo schema è identico: Mafalda fa una domanda ai genitori, loro rispondono e lei commenta (spesso genialmente). Mafalda mi ha spesso fatto tornare alla mente Zazie nel metrò, certo la ragazzina di Queneau è più grande della bambina di Quino ma alcune sentenze la ricordano. Quando la madre va a riprenderla dopo i due giorni a Parigi le chiede se si è divertita e lei chiosa: «Sono invecchiata». Come Peter Pan, Mafalda rifiuta il mondo degli adulti, ma c’è un’enorme differenza: Peter cerca solo l’evasione, lei no, protesta, s’indigna. Per Esther Tusquets: «Che il mondo vada sempre male non ne dubita nessuno, ma la contestazione di Mafalda ha resistito al passare del tempo perché non è aneddotica, e solo così si spiega che abbia funzionato in paesi tanto diversi. Quino tocca pieghe molto profonde della condizione umana». Rileggendola si comprende perché Quino smise di disegnarla: aveva già detto tutto, creando un’opera compiuta e una Mafalda oltre gli otto anni sarebbe stata priva di senso, non poteva evolvere e abbandonare il suo mondo.
Quello che Mafalda comunica è il senso di incompiutezza della (sua) vita, struggente metafora di una incompiutezza più grande, assoluta. Che la bambina giochi con gli assoluti lo afferma Gabriel García Márquez: «Quino in ogni suo libro, da anni ci sta dimostrando che i bambini sono i depositari della saggezza. Quello che è triste per il mondo è che man mano che crescono perdono l’uso della ragione, a scuola dimenticano quello che sapevano alla nascita, si puliscono i denti, si tagliano le unghie e alla fine, diventati adulti miserevoli, non affogano in un bicchiere d’acqua ma in un piatto di minestra». A prendere l’opera di Quino in toto ci si rende conto che – l’infanzia come trasgressione di ogni norma – è un tema dominante, secondo connotati che ne ampliano ma non ne modificano il significato: una rivoluzione permanente contro l’assetto morale edificato dagli adulti, con un tempo da non perdere, da ritrovare di continuo per rincuorare una personalissima critica sociale. Per il semiologo Román Gubern: «Mafalda è stato uno specchio antesignano della crisi della pedagogia tradizionale, dell’emergere di nuove forme di protesta giovanile collettive e individuali e del tramonto della concezione autoritaria dello Stato-Padre». Probabilmente Quino ha diviso in due gruppi l’umanità delle strisce di Mafalda: da una parte ci sono gli ingenui, gli estroversi, i buoni, cioè i bambini, dall’altro i chiusi in se stessi, gli introversi, che non comprendono la realtà, ovvero gli adulti. L’unica eccezione sembra la madre di Mafalda, percepita come vittima del sistema piuttosto che complice. La vita di Mafalda ha senza dubbio zone d’ombra, traumi, chiaroscuri, come tutte le vite…Quello che manca nelle strisce è la morte. Le rare volte che vi si allude è perché i bambini non la capiscono, appare come una conseguenza ineluttabile della vecchiaia, come una fatalità che riguarda solo il mondo degli adulti. Nelle opere più mature (Uomini si nasce) con ironia, senza pietà, verso la morte si è comunque portati a provare tenerezza. Basta pensare al compunto impiegato che sistema i fiori sulla propria tomba o al morto che si offende con gli spiritisti che evocandolo lo obbligano a smettere di fare il bagno.