La pubblicazione di 2146, di Marco Marmeggi, per Einaudi Ragazzi (pag.144, euro 12), è un atto di grande stima e di grande fiducia verso il pubblico giovanile. 2146 è un libro di linguaggio, con uno stile denso e potente, fatto di un lessico che affonda le mani nei dati sensoriali più crudi e immediati dell’acqua, della terra e degli esseri viventi in una ricerca dell’armonia che restituisce al lettore una voce precisa e curata, una lettura che desidera lasciarti un’impronta ben definita. 2146 è anche un romanzo di idee, il racconto avventuroso di un mondo futuribile, in cui una catastrofe ha spazzato via la civiltà che fu, in cui Spartaco e Sofì, giovani amanti di un villaggio galleggiante di pescatori di spugne ricavato da vecchie imbarcazioni, faranno i conti con un pericolo proveniente dal passato e con il cambiamento che entra nelle loro vite con tutta la violenza possibile. Ne parliamo con l’autore, con il quale svisceriamo alcuni dei nodi centrali del romanzo.
Partiamo proprio dallo stile, che racconta un mondo attraverso una lente profondamente sensuale, fatta di mare, pelle e natura. Vuoi raccontarci un po’ della tua ricerca un questo senso?
Quando scrivo trovo sempre qualcosa da pulire all’interno della frase, qualcosa di troppo da eliminare. A volte penso che a suon di tagliare e scorciare non rimarrà più nulla. Mi piace pensare che a scrivere siamo in due, io e il lettore. Alla fine anche lui è chiamato a fare il duro lavoro di ricostruire, integrare, abbellire, aggettivare, raccontare. E’ lui che dà sostanza ai personaggi, che li vede muoversi e parlare, è lui che tira fuori dal testo le riflessioni, le connessioni, i rimandi e le citazioni. Forse lo stile è tutto un gioco di equilibrio tra l’accenno e la definizione, tra il piacere di leggere e il diritto di immaginare. Mi piace pensare di fare da colonna sonora a questa collaborazione, le parole e le frasi devono, prima di ogni altra cosa, suonare bene, avere un ritmo che potrebbe essere misurato con il metronomo sul tavolo. Parli di sensualità e io immagino il fatto che le parole arrivano dai sensi, procedono attraverso loro fino alla carta. Mi piace che passino dal corpo, non potrei immaginarle provenire da altre parti, non ne sarei capace. Alla fine, il mare e la natura in generale sono esperienze totali, si dice immergersi nella natura perché è come farci un tuffo dentro, sprofondare con tutti i sensi nel mondo dell’esperienza e sentirla davvero. La scrittura fissa e trasforma, avvince e restituisce, ma sempre da lì parto, da quello che si prova con la conoscenza diretta di una determinata sfera di realtà.
Parliamo del villaggio di pescatori, una comunità con le sue dinamiche e i suoi rituali, e il modo con cui affronta il cambiamento, adattandosi per sopravvivere.
2146 nasce da una domanda semplice che non ho mai smesso di farmi. Qual è il mondo ideale in cui mi piacerebbe vivere? La risposta ho provato a descriverla prima ancora che a teorizzarla. Le barche sono le case migliori e un villaggio galleggiante è il compromesso perfetto tra libertà e comunità. Vivere sulla superficie del mare, sentirlo a pochi centimetri sotto i piedi rappresenta il luogo ideale in cui sentirsi vivi anche quando si dorme. Il villaggio di pescatori di spugne che ho immaginato è un mondo a pelo d’acqua’ che ricorda il Mediterraneo delle origini e della fondazione della polis, con il suo cittadino come zoon politikon (animale politico), il suo nómos (la legge degli uomini) e la sua physis (la legge della natura), tre conquiste della Storia dell’umanità da difendere come il bene più prezioso. A una somma prevaricante di atomi inconsapevoli e indifferenti, incapaci di costituirsi in una koinonia, fa da contrappasso una storia di partecipazione delle coscienze individuali, mosse da interessi e valori condivisi. A un mondo dominato dall’imperare del capitalismo, in cui l’energia che si sprigiona viene subito consumata per provvedere alle esigenze fondamentali, i protagonisti si fanno portatori di quell’agire ‘con e per gli altri’ che definisce la vera essenza dell’uomo. Perché se il privato è il luogo della necessità, solo il pubblico, la vita in comune, restituisce la vera sfera della libertà.
L’ambiente, in particolar modo il mare. Ti dà la vita ma te la toglie. Ci si può vivere in armonia ma non è sempre una madre tenera. Vorresti approfondire?
In una celebre frase, il grande Jacques Mayol, forse il più grande apneista di tutti i tempi, diceva che “l’uomo è sempre stato attratto dalle profondità marine per il desiderio inconscio di ritornare nell’elemento che ha dato origine alla vita”. Secondo lui “Immergersi nel profondo blu è come tornare nel grembo materno”. Ma il mare, come noti giustamente tu, è anche qualcosa di oscuro, misterioso e terrificante. C’è un passaggio in Moby Dick di Melville, in cui Ismaele guarda il mare con sgomento. Lo accusa di essere nemico dell’uomo e demonio della sua prole, di essere ingannevole. La sua superficie turchina, che nei giorni di bel tempo risplende sotto il sole, mostra il lato straordinario della vita, ma, contemporaneamente, nasconde le dura legge della natura che si consuma appena sotto la sua superficie dove esseri viventi si cibano l’uno dell’altro senza nessuna pietà. In 2146 il mare conserva queste tre dimensioni. La nascita e il nostro passato ancestrale di mammiferi del mare, conserva la sua bellezza, ma non può fare a meno di essere anche scenario di morte.
Bea, l’airone dal becco nero e la balena. In che modo animali giocano ruoli chiave sia per lo svolgimento della trama, sia a livello simbolico?
Il ruolo degli animali nella letteratura affonda le radici nella tradizione delle favole di Esopo, è da lì che il mondo animale comincia a parlare, ad avere autonomia narrativa, ad essere addirittura protagonista assoluto. Gli animali che compaiono all’interno di 2146 giocano sempre dei ruoli chiave ai fini narrativi, aiutano o contrastano i personaggi nel raggiungimento dei loro obiettivi. Entrano nella storia perché l’uomo non può fare a meno di loro, anche nella nostra società ipertecnologica non possiamo separarcene completamente, non possiamo perché sono il legame che ci tiene stretti al mondo naturale. In qualche modo ci ricordano chi siamo. 2146 è un romanzo del corpo che celebra l’aperto, una sorta di vivere in natura, un equilibrio che porta i protagonisti a vedere negli animali l’estensione delle loro facoltà.
Il Viaggiatore da una parte e Spartaco e Sofì, combattenti profondamente diversi fra loro. Qual è la differenza fra i loro modi di lottare?
Spartaco e Sofì sono due amanti partigiani, entrambi sono consapevoli che la difesa del loro amore è la difesa di un modello sociale orizzontale e viceversa. Giocano un ruolo differente all’interno della storia. Sofì è una ragazza che legge moltissimo, conserva i libri con rigore e profondo rispetto, sono oggetti storici appartenenti ad un epoca molto lontana, è un’eroina che unisce la fisicità dell’azione all’elaborazione teorica, agisce perché conosce, la sua è una pratica di consapevolezza. Il personaggio maschile, Spartaco, è costruito intorno all’elemento della forza, non è una forza brutale, anzi. La pratica dell’apnea richiede enormi facoltà di controllo, di meditazione e, in qualche modo, si configura come una forma di ascesi. I suoi pensieri e le sue riflessioni provengono dal mondo dell’esperienza, come se arrivasse ad intuire col corpo le stesse cose profonde che Sofì trova scritte nei libri.
Un’altra diade interessante per quanto meno evidente nel libro: Donna Riviera e Maestro Statti. Diversi ma complementari nell’educazione. Cos’hanno un comune e in cosa divergono?
Donna Riviera e Maestro Statti giocano ruoli formativi che per un lungo periodo della loro vita hanno proceduto su binari paralleli, ma che, ad un certo punto della storia, divergono profondamente. Hanno avuto in comune il bene del villaggio e di una comunità che individua nell’educazione dei più piccoli la costruzione dell’ossatura etica che tiene insieme regole e diritti. Si allontanano perché non concordano più sul concetto di rigore e rispetto indispensabile per non lasciare che gli interessi individuali producano spinte centripete che rischiano di creare squilibri e lacerazioni dei tessuti sociali.
Sei un insegnante, hai scritto un libro per ragazzi e con la tua associazione, Diversamente Marinai, fai del volontariato attraverso la tua grande passione, il mare. Sbaglio o il filo conduttore è la cura verso gli altri esseri umani?
Ho iniziato a insegnare un po’ come tutti, esaltato, probabilmente troppo, dalla mission educativa che porta a considerare la scuola l’unico vero strumento politico di emancipazione e uguaglianza. Anche io ho sognato in segreto di salire in piedi sulla cattedra ed essere omaggiato dai miei studenti con “O Capitano, mio capitano” di Walt Whitman e di insegnare loro la filosofia del Carpe diem. Non so se ci sono riuscito o ci riesco, ma mi sono accorto che ci sono molti altri modi per produrre un miglioramento nel mondo che ci circonda e che, forse, i migliori partono dai cerchi ristretti delle relazioni, dalle prossimità più vicine. Ho fondato la scuola di vela Diversamente Marinai insieme ad un gruppo di amici disabili, tengo a precisare la parola amici perché non credo di aver agito consapevolmente per chissà quale alto disegno di integrazione. Ho conosciuto persone eccezionali che ci vorrebbe un libro per raccontarle tutte e non basterebbe. Ho dato una mano (e qui immagino già un amico che la mano non ce l’ha che mi prenderà per il culo) perché li riconoscevo come la mia gente. Non ho valutato ancora attentamente il peso di ciò che ho ricevuto in cambio. Essere utile, a volte, è tutto quello che conta.
Per info www.http://diversamentemarinai.it