L’idea di costruire un film gotico sulla trasparenza, come fa Stefano Mordini in Lasciami andare, è in sé tanto intrigante quanto sospetta. Il gotico cinematografico è un genere che lavora sul chiaroscuro, fatto di linee nette che cercano il rilievo nell’oscurità, di forme solide che alludono attraverso l’ombra. Ed è anche un genere che nel buio trova la concretezza dello spettro, la sostanza del mistero. Stefano Mordini, invece, lavorando sull’idea di un gotico veneziano, preferisce partire dai giochi di luce, dai riflessi che il sole tralascia nella penombra delle case, riflettendo sulle pareti la trasparenza del mondo reale. Ma se da un lato propone un film liquido, trovato nelle smarginature tra la pietra dei palazzi e l’acqua dei canali che invade gli interni, in una Venezia che scorre sui riflessi del sole e si insinua nell’ombra delle stanze, dall’altro si aggrappa alla struttura di un dramma che dà più corpo al rovello psicologico dei protagonisti di quanto nei dia al fascino effettivo del mistero nutrito saggiamente sino alla fine. Ad ogni modo, siamo nella Venezia contemporanea, tempo d’acqua alta e di palazzi in ristrutturazione: Marco (Stefano Accorsi) e Clara (Maya Sansa) hanno alle spalle un amore finito con la tragica morte del loro bambino, che ha distrutto il loro matrimonio e li ha consegnati a nuove vite, da vivere nel ricordo di quel dramma.
Ma proprio quando Marco sta per avere un bambino dalla sua nuova compagna, Anita (Serena Rossi), gli si presenta Perla (Valeria Golino), una enigmatica imprenditrice che ha acquistato il palazzo in cui lui e Clara hanno vissuto. La donna gli rivela che nella casa percepisce la presenza di un bambino che dice di essere loro figlio e chiede di loro. Su questo schema Mordini costruisce una triangolazione che gioca sul rapporto tra passato e presente, nell’ottica di una dimensione terza in cui edificare la realtà. Una dimensione che non è tanto il futuro, quanto la sintesi spirituale di ciò che è stato e di ciò che no è più, ma non cessa di esistere. Che è come dire la dimensione del desiderio che nutre se stesso, del bisogno di Marco e Clara di ritrovare ciò che hanno perso. Lasciami andare si offre insomma come un dramma gotico costruito negli interstizi di una storia d’amore finita, in cui però a condurre il gioco non sono le ombre ma i personaggi reali, col loro dolore concreto, palpabile. Il chiaroscuro sta tutto nella loro narrazione e l’ombra serve solo a far emergere il loro dramma, che infatti sembra basarsi più sul dubbio che sul mistero, più sulla razionalità di Marco che sull’accettazione della presenza spirituale.
Ed è un peccato, perché, pur non pretendendo di ritrovare oggi la schiettezza di una tradizione gotica gloriosa per il nostro cinema, sembra quasi che Stefano Mordini non abbia avuto fiducia nella possibilità di fare un film d’ombra, piuttosto che ancora una volta un film di psicologie. Lasciami andare si basa su personaggi troppo ingombranti, costruiti secondo gli schemi del cinema italiano contemporaneo, che proprio non sa rinunciare al rovello psicologico, alla torsione analitica eccessiva. Non si tratta di pretendere la semplificazione, sia chiaro, ma saremmo anche un po’ stanchi di un cinema che eccede in psicologismi, concentrato su personaggi che alla fine risultano fatti più di drammaturgia che di carne. Dove la performance d’attore si prende la scena anche quando, come in questo caso, il regista cerca soluzioni visive sensibili e articolate. Nel caso specifico, Stefano Accorsi trova con i suoi strumenti il giusto equilibrio, mentre Maya Sansa risulta la più spigolosa nella triangolazione femminile che la vede contrapposta alla più permeabile Serena Rossi e a una Valeria Golino giustamente enigmatica.