Lo sguardo un po’ di traverso, ferito e sospettoso, che scorge negli occhi del suo protagonista, è lo stesso che Louda Ben Salah-Cazanas imprime a questo suo film d’esordio, Le monde après nous, presentato alla Berlinale 71 in Panorama. Labidi, il giovane piccolo eroe del film, ha l’aria un po’ battuta e sfrontata dei perdenti per destino sociale in cerca di riscatto: studente con ambizioni di scrittore, percorre le strade di Parigi muovendo dalla periferia, dove è stato cresciuto dalla madre e dal padre coi guadagni del loro piccolo bar di periferia (lei è la Saadia Bentaïeb di Ghost Tropic, lui nientemeno che Jacques Nolot). Il suo talento è la ricchezza su cui fa leva, grazie anche ai buoni auspici di un agente letterario che gli procura un contratto d’opzione con una casa editrice. Labidi vive in un monolocale che a stento conterrebbe Aleksei, l’opulento amico russo che lo ospita, e mentre strappa il tempo della scrittura alle consegne a domicilio con cui tira la giornata, scopre l’amore per Luisa, che un giorno vede seduta al caffè dei genitori e che diventa la sua ragione di vita. Labidi immagina con lei un nuovo quadro esistenziale, in cui proietta il suo riscatto sociale, il bisogno di una casa dove vivere insieme, scrivere, mangiare. Salvo accorgersi che per ottenere questo servono i soldi che non ha e, come un un gioco da tavolo, si ritrova puntualmente a ripartire dal via…
Ecco, il quadro in cui si muove il protagonista di Le monde après nous è quello del romanzo di formazione tagliato con la forbice sociale di una generazione per la quale tra tutto e niente c’è uno scarto minimo. Louda Ben Salah-Cazanas attinge la materia del suo film a vissuti dichiaratamente autobiografici, si sente che ha costruito un impianto in cui fa risuonare una flagranza esistenziale che conosce, un’urgenza declinata in sorda frustrazione quotidiana perché contemplata nello specchio di una società che espone il successo e la felicità come un bene da acquistare. E allora percepisci modelli d’empatia cinematografica che in altri decenni bruciavano di dannazioni più estreme e incisive (potrebbero venire in mente l’Assayas di Desordre, il Cyril Collard di Notti selvagge, persino l’Eric Rochant di Un mondo senza pietà… citando un po’ a caso, per evitare di citare il nume garrelliano…). Ma questo mite Labidi, con la sua furbizia poco scaltra, l’ingenuità del suo agire applicando modelli, l’istinto di sopravvivenza dei perdenti, l’ancoraggio disperato a un amore che corrisponda al suo destino… Sì, insomma, con tutto questo armamentario di antieroico bisogno d’adattamento, Labidi ha la sua forza più nella sconfitta, cui è designato nonostante tutto, che nella vittoria che cerca e sembra ottenere nel finale. Guardando il quale non si più non ricordare l’incipit, che ce lo aveva mostrato in psicanalisi, già pronto a rinunciare a quella scrittura che gli ha infine garantito il successo…Le monde après nous si muove insomma in questo sostanziale bisogno di inutile riscatto per trovare la flagranza della sua narrazione sentimentale, l’affetto per l’ingenuità sfrontata del suo protagonista, il rispetto per la coppia di genitori che appartengono a un’altra era sociale… Colori caldi, una capacità di risuonare in sintonia con gli spazi urbani, l’agilità della scansione narrativa, la figura antiretorica e sincera del bravo Aurélien Gabrielli (lo vedremo di sicuro ancora): tutti elementi che contribuiscono a un’opera prima da tenere a cuore.