Yarmouk, Damasco: campo profughi palestinesi, fondato nel 1957 alle porte della capitale siriana, di cui diventa pian piano un vero e proprio quartiere. L’accoglienza, la convivenza, la pace che segnano quel rifugio offerto ai palestinesi, si trasformano con lo scoppio della guerra civile siriana nel campo di battaglia tra le truppe fedeli ad Assad e i ribelli dell’Esercito Siriano Libero. Poi, a partire dall’estate del 2013, il dittatore siriano impone un durissimo e spietato assedio, che chiude le strade d’accesso al quartiere e per due anni costringe alla fame i 18.000 palestinesi e siriani che ne compongono la popolazione. Seguono anni di fasi alterne, con lealisti, ribelli e gruppi armati dello Stato Islamico che si combattono e si alternano nel controllo del quartiere, che oggi conta solo macerie fisiche e umane. A Yarmouk, Abdallah Al-Khatib ha dedicato Little Palestine (Diary of a Siege), in concorso a Nyon, Visions du Réel: quel quartiere lo conosce, ci è nato e vi è cresciuto, vi lavorava con la sua associazione di volontariato mentre si laureava a Damasco in sociologia. L’ha filmato e l’intimità dell’esserci la senti in ogni inquadratura del suo lavoro, la consapevolezza della flagranza dei momenti di vita che, soprattutto nella prima parte, hanno quasi un approccio da home movie, nell’immediatezza delle immagini, nel gioco del filmare quasi da workshop con i bambini, con gli adulti, attraversando le strade. Gli fa da sponda la presenza della madre, infermiera che va di casa in casa a portare parole e cure, ma quel che emerge e soprattutto il quadro umano, osservato dal filmmaker con la dignità dell’abitudine e l’attenzione dell’affetto, mettendosi in campo assieme a quei compagni di vita e resistenza civile con cui vive.
Non serve a molto stare a dire che il film è tutto colto nella flagranza della vita che diventa testimonianza umana e atto politico: un diario (come dice il titolo) che dall’assedio transita verso l’esistenza, con la dignità e la dolcezza che il popolo palestinese sa esprimere come pochi. Abdallah Al-Khatib filma Yarmouk stando nel presente, fissando gli edifici, i parchi, le strade, la gente: topografia di uno spazio palestinese che definisce sia la possibilità storica (c’è chi ricorda l’accoglienza dei siriani, l’armoniosa convivenza) che l’impossibilità del suo realizzarsi. Il muro che ostruisce la strada si innalza come la quinta di un film distopico, fa da sfondo ai bambini che giocano, a pochi isolati cadono bombe, un coro canta per strada accompagnato da un piano, un muro bianco raccoglie le firme degli assediati, qualcuno infine protesta la sua rabbia con fermezza e dignità, un altro piange un canto intimamente disperato. Little Palestine ha un andamento lirico, intimo, commovente senza darlo a vedere: cresce con dignità la sua rabbia e la lascia trasparire senza imporre la protesta. Non c’è troppo altro da dire, se non che film come questo nutrono la necessità del fare cinema come atto di resistenza nella vita.