È tempo di tirare le somme per Dom Toretto e soci: le reazioni abbastanza concordi su un nono capitolo che sembrava aver parzialmente esaurito la spinta impressa alla saga dal quinto film, spinge infatti a ragionare su un gran finale che – per i classici meccanismi dello sfruttamento più “dilatato” possibile, tipico delle narrazioni odierne – è stato diviso in due parti, che potrebbero addirittura diventare tre, portando quindi a 12 i lungometraggi della saga, spin-off esclusi (altro serbatoio da cui immaginiamo poi la produzione riallaccerà i fili in futuro, sempre per dilatare ancora e ancora il racconto). Proprio dal citato Fast & Furious 5 dunque si riparte, per dare sostrato al nuovo cattivo della storia, il Dante Reyes di Jason Momoa, che ovviamente l’ha giurata a Toretto e famiglia per i fatti accaduti in quel lontano capitolo e che con la sua presenza continua così a ampliare il parco attoriale della saga, mentre proseguono i ritorni e le resurrezioni del caso: singolare notare, in questo caso, la torsione di una saga dove i personaggi si scontrano con veemenza, sopravvivono e tornano in vita, mentre l’unico attore realmente scomparso (Paul Walker) è invece “vivo” nel racconto, anche se in fuoricampo, in attesa di un annunciato ritorno in digitale nelle parti a venire.
I corpi attoriali, insomma, sono essi stessi macchine di questo meccanismo autoriparante che da sempre cerca il suo baricentro, in un racconto dove tutti i personaggi sono fermi eppure mobili, seduti nel loro abitacolo ma spinti dalla velocità dei veicoli, di cui condividono urti e fracassi, ma senza ferirsi mai, in un processo osmotico dove la muscolarità si fonde nel metallo e viceversa. In questo senso, più dello scherzoso (e mai concretizzatosi) cross-over con la saga di Jurassic Park, evocato in alcune discussioni internettiane, Fast X concretizza un altro intreccio possibile con l’epopea dei Transformers. Il rimando aleggia in più punti del racconto, per il modo in cui la fisica dei veicoli viene piegata ai voleri della mente di Toretto e soci, e per la natura “morphing” di questa saga che transita senza soluzione di continuità non solo dall’azione alla retorica familista, ma anche attraverso il perenne scambio dei ruoli, dove gli alleati si rivelano nemici e i cattivi di ieri diventano i compagni di viaggio di oggi. Soprattutto, però, c’è una certa qual pulsione febbricitante nel ritmo della narrazione, che sembra trarre suggestioni proprio dalla messinscena action di Michael Bay: il riferimento diventa addirittura esplicito nel finale con la diga e i camion che sembrano un re-enactment del primo Transformers del 2007. Diversamente da un John Wick che pure sperimenta l’invincibilità del corpo nello spazio, ma lavora sulla performance estenuante delle singole sequenze portate al parossismo, Fast X frammenta quindi l’azione in una logica dell’accumulo di momenti, quasi a voler “bruciare” la singola invenzione balistica in nome di un non fermarsi mai nella progressione degli eventi. Merito in questo anche di un regista duttile come Louis Leterrier, subentrato dopo l’abbandono del sodale Justin Lin e che mette la sua esperienza al servizio della saga, tra giochi di apparenze (Now You See Me) e una problematicità in grado di conferire una certa gravitas ai rischi cui vengono sottoposti questi corpi comunque invincibili (si pensi a L’incredibile Hulk e Danny the Dog).
In questo, più che sulla puntuale dinamica affettiva che lega tra loro i “familiari” di Toretto, il film trova il suo baricentro volutamente sconnesso nell’eccellente villain del già citato Jason Momoa, che setta il tono del racconto su un accanimento continuo ma mai definitivo, isterico e sopra le righe come i suoi atteggiamenti larger-than-life, che denotano una mente caotica ma estremamente sopraffina nel prevedere le mosse dei rivali. Un altro corpo fermo nella sua stolidità, ma estremamente libero, quasi “liquido” (Aquaman insegna) nel continuo passaggio di stato dalla calma all’euforia: un mix di sentimenti che rendono Dante la miglior versione del Joker batmaniano dai tempi del mai dimenticato Heath Ledger. È lui ad aver compreso che in fondo il “gioco” sta tutto nel dividere la famiglia e nello spingerla così a muoversi in fretta tra varie location del mondo, nel tentativo sempre rinviato di riunirsi. In questo senso Fast X riesce nel compito che spetta sempre ai capitoli finali: portare lo spettatore “in giro” lungo le dinamiche, i volti e i momenti topici della saga. Tutto ha il suo giusto spazio, ogni figura ha il suo momento sotto i riflettori, in un racconto dove succede molto ma all’interno di uno schema addirittura esemplificato rispetto al passato e che perciò non dona l’impressione di perdere tempo, tipica di molto cinema contemporaneo. Il finale naturalmente è aperto alle future prosecuzioni, dimostrando come tutto sia molto lucido, anche quando deve sembrare assolutamente naturale e un po’ folle.