Urlando il silenzio: Una sterminata domenica di Alain Perroni

“La mia generazione è una questione di linguaggio” dice Alain Perroni, classe 1993, romano, al suo esordio nel lungometraggio con Una sterminata domenica, a Venezia80 nel concorso Orizzonti. E dice una cosa interessante, perché forse è vero che il linguaggio, anzi i linguaggi sono la narrazione del presente di chi in questo millennio ci è nato. Una generazione che ormai ha scavalcato il gap funzionale del linguaggio come strumento del dire, entrando a pie’ pari nel dirsi, nel narrarsi come linguaggio. Alex, Brenda e Kevin, i tre protagonisti di Una sterminata domenica, per Alain Perroni sono linguaggio puro, corpi che esprimono se stessi in una plasticità pulsante immediata, senza filtri espressivi, pura forma esistenziale che si dice nella forma grezza della loro quotidianità. Alex ha appena compiuto 19 anni e sta con Brenda che è incinta senza darlo a vedere. Assieme a Kevin, 16 anni di irruenza ancora infantile, attraversano le giornate estive in una periferia che sembra un eden in rovina, sospesi su una perenne controra dalla quale non hanno scampo, tra sonnolenza, noia d’attesa, stratificazione onirica del dire e del fare…

 

 

Alain Perroni si accolla a questi tre ragazzi, come direbbero a Roma: tutt’altro che il classico pedinamento tre passi dietro le loro spalle, il regista sta letteralmente addosso ai suoi tre personaggi, li annusa, li tocca con immagini che, per l’appunto, cercano di superare la forma esteriore della narrazione per entrare nella dimensione percettiva. Viene meno ogni possibilità di focalizzazione, tutto confluisce in un flusso psicologico e percettivo che attraversa la confusione esistenziale di questi giovani corpi in attesa di nulla per raggiungere la loro profonda astrazione dal reale.
Il ritmo sincopato attraversa la linea temporale degli aventi, che diventa quasi una ipotesi scarsamente verificabile: accade che Brenda riveli a Alex di essere incinta, il ragazzo è contento ma tutt’altro che felice, piuttosto è preoccupato del loro avvenire e cerca il lavoro che può trovare, aiutando a governare le pecore di un tedesco che vive in un camper trafficando in qualcosa di poco chiaro. La nonna della ragazza, unica figura familiare del film, fa riti contro il malocchio, i tre si spingono spesso nel cuore dell’Urbe, in cerca forse di quel tempo eterno che non conoscono, la domenica a San Pietro, mentre Papa Francesco parla. Litigi, fughe, colpi di testa, l’inferno di pioggia e traffico della città di notte: flash astratti per un abbozzo di narrazione, forse di triangolo, che è l’esito di un rapporto intimo con questi ragazzini senza tempo.

 

 

Una sterminata domenica è davvero questione di linguaggio: impasto di colori, tagli trasversali dell’inquadratura, rapsodia di una periferia metropolitana assordata nello strepito lontano dei suoni. La colonna audio è assolutamente la linea portante del film, come fosse dotata di vita propria, di un dire autonomo, come se afferisse a uno spazio e a un tempo che è quello interiore dei protagonisti. Intuizione fondamentale di questo filmmaker, che permette a questo suo esordio di restare come un oggetto intinto nella dispersione dei segni e dei sogni prodotta e subita dai suoi protagonisti. Vediamo cosa sarà di loro. Vediamo cosa sarà di Alain Perroni.