Il secondo atto è quello che inverte le prospettive assunte e sbalza la finzione fuori scena. Più facile a dirsi che a spiegarlo, ma Le deuxieme act (Fuori concorso, in apertura a Cannes77) è un film di Quentin Dupieux e il surrealismo è questione ordinaria, non serve nemmeno parlarne. Siamo dalla parte opposta di Yannick, per rendere l’idea: dove, al posto dello spettatore che dalla platea s’impossessa della scena, c’è la finzione che s’impossessa della realtà… Si gioca a carte scoperte e il bluff è ben in vista sul tavolo: non spoileriamo granché dicendo che siamo in un film sul film, questione di attori alle prese con la storia di Florence che, innamorata persa di David, organizza un pranzo per presentarlo a suo padre Guillaume, non immaginando che intanto David, al quale Florence proprio non piace, sta ordendo un piano per appiopparla al suo amico Willy…La pochade ha per protagonisti, nell’ordine di presentazione, Lea Seydoux, Louis Garrel, Vincent Lindon e Raphaël Quenard, dispersi in uno scenario rurale di periferia, dove campeggia un mesto ristorante chiamato Le deuxieme act, gestito da un oste che apre e chiude il film, stressato come una bestia alle porte del mattatoio.
Di mezzo c’è il doppiofondo di una narrazione che specula tra finzione e realtà, in una mise en abyme del rapporto tra i personaggi in cerca non dell’autore – ché di quello… è meglio non parlarne… – ma del proprio interprete, che scalpita sul set mentre si gira e parla in macchina e riflette su senso e dissenso di ciò che sta recitando… Il gioco scenico si traduce in un gioco al massacro d’ironia e cinismo, l’ego attoriale si mangia la vanità della finzione e il qui e ora della recitazione si impossessa dell’umana gettatezza…Dupieux scandisce il suo genio astratto con squadrata attenzione e, nel portare oltre il discorso iniziato con Yannick, non riesce eguagliarne l’incisività: Le deuxieme act intriga ma esaurisce il gioco prima che lo porti a termine, senza che questo ne svaluti la portata. Il punto di arrivo è duro e spiazzante quanto quello di Yannick e dice di un mondo sull’orlo del collasso. Alla fin fine, la vita è un lungo travelling tranquillo (Lanzmann, Sobibor…) o forse solo il colpo di una pistola di scena, sparato su un set che non è altro che la vita vera…