70 anni di Godzilla, inarrestabile icona del fantastico

Godzilla (1954)

Ora che in bacheca può sfoggiare persino un premio Oscar per gli effetti speciali e ogni uscita di un suo film è accolta come un evento, sembrano lontanissimi i tempi in cui Godzilla era un feticcio per pochi irriducibili appassionati del fantastico. Ancor più considerando come il traguardo dei 60 anni, nel 2014, rischiava addirittura di passare sotto silenzio, ipotesi scongiurata soltanto dal recupero in extremis da parte di Legendary Pictures: tutto quello che è poi seguito è storia dell’ultimo decennio, dalla narrazione in divenire del MonsterVerse (tra film e serie tv) alla reinvenzione avanguardista a cura di Hideaki Anno e Shinji Higuchi, agli esperimenti animati, ai corti celebrativi proiettati nei Godzilla Fest giapponesi (il quinto arriva in questi giorni), alle attrazioni per i parchi, fino al trionfo di Minus One. Su tutto c’è l’evidenza di un’icona che ha riguadagnato con forza il suo posto nell’immaginario globale, tra supereroi, cavalieri Jedi e maghetti un po’ in affanno, ribadendo quella versatilità che gli ha permesso di sopravvivere e adattarsi ai cambiamenti, superando le incertezze che non sono mancate sul suo cammino fin dagli esordi. È cosa nota infatti come l’originario “Progetto G” della Toho nascesse come ripiego rispetto a una coproduzione con l’Indonesia sfumata all’ultimo momento. La narrazione si colora di leggenda, con il produttore Tomoyuki Tanaka che, a seconda delle versioni, durante il viaggio di ritorno in aereo dal paese del sud-est asiatico si ritrovò a sorvolare l’atollo di Bikini sede dei test atomici americani o forse aprì il giornale vedendo una pubblicità del film Il risveglio del dinosauro, convincendosi che fosse bene fare qualcosa del genere – più probabile però che la verità sia molto più prosaica e frutto di qualche brainstorming interno alla Toho.

 

Godzilla Minus One (2023)

 

Di sicuro, la natura prettamente industriale del progetto arrivò al momento giusto, intercettando un periodo storico in cui il cinema giapponese attraversava una fase creativa importante, era salito alla ribalta internazionale con i premi vinti a Venezia e a Cannes, si poneva dunque quale arte identitaria forte in cui tanto il versante produttivo quanto quello strettamente artistico arrivavano a convergere in pienezza. Un progetto ad alto budget come Godzilla riusciva così a catturare attenzioni importanti, come quella dello scrittore di fantascienza Shigeru Kayama, che scrisse il soggetto con la precisa intenzione di elaborarne il precipitato allegorico in quanto monito alla proliferazione del nucleare nello scenario della Guerra Fredda. Il che è un punto importante se proveniente da un paese stretto a metà fra i blocchi (collocato nell’Asia di Cina, Russia e Corea del Nord, ma di fatto nella sfera d’influenza degli Stati Uniti) e che proprio nel cinema stava elaborando in quel momento il trauma del doppio bombardamento atomico subito meno di un decennio prima – i primi anni Cinquanta sono anche quelli di I bambini di Hiroshima di Kaneto Shindo e Testimonianza di un essere vivente di Akira Kurosawa. L’arrivo in cabina di regia di Ishiro Honda fece il resto, essendo egli non solo un regista di formazione drammatica (aveva studiato insieme a Kurosawa di cui poi sarà aiuto) e indole pacifista, capace dunque di comprendere gli spunti forniti da Kayama, ma anche un uomo di squadra, capace di relazionarsi con gli altri creativi della situazione, da quelli con personalità forti come Eiji Tsuburaya, genio degli effetti speciali o Akira Ifukube, maestro delle musiche, fino a tutti i reparti della Toho. Honda, fra le altre cose, era anche attento alle innovazioni della tecnica, il suo film d’esordio Blue Pearl era stato infatti il primo titolo giapponese con riprese subacquee.

 

Ishiro Honda

 

A simili presupposti strettamente artistici e tecnici si accompagnò qualche intuizione tanto semplice quanto interessante: Godzilla attacca il centro di Tokyo e quando spara il raggio dalle fauci, le sue creste dorsali si illuminano. È il momento in cui l’allegoria seria diventa trasfigurazione fantastica pura, il dinosauro sopravvissuto all’estinzione (scientificamente non realistico ma comunque verosimile) diventa prodigio che stimola l’immaginazione, la metafora drammatica diventa fiaba – e ci ricorda quanto le favole possono effettivamente essere crudeli. L’uscita del 3 novembre 1954 segna perciò un punto importante, il cui impatto espressivo inizia a essere compreso soltanto adesso: si pensi alla presentazione del film in versione restaurata al recente Festival di Berlino. La successiva deriva pop che investe la saga negli anni Sessanta del boom economico e la porta a intessere un rapporto dialettico con i telefilm di supereroi e gli anime di robot negli anni Settanta, non fa altro che esasperare l’aspetto ludico, ma mentre rende i tecnici degli effetti speciali i veri eroi della situazione, continua a riflettere in senso identitario su come il Giappone vuole pensarsi all’interno dei generi e dello scenario globale dell’intrattenimento. I nemici spaziali diventano così metafora delle superpotenze vicine o del rischio di vedere annullata la propria essenza dal sorgente assalto dell’inquinamento industriale o del capitalismo sfrenato. Non c’è in fondo chissà quale grande distanza fra i mostri giganti che si picchiano tra i palazzi per la salvezza del Giappone e le faide degli yakuza che si uccidono per le strade nel jitsuroku eiga di Kinji Fukasaku degli stessi anni (la saga di Lotta senza codice d’onore, in effetti, ha la sua immagine fondativa proprio nella bomba su Hiroshima).

 

Shin Godzilla (2016)

 

Gli anni Ottanta, Novanta e Duemila arricchiscono così il quadro generale, chiamano in causa concetti come lo spionaggio industriale, l’ingegneria genetica, gli hibakusha sopravvissuti alla Guerra che rivendicano con rancore la loro visibilità nella Storia, mentre l’Arcipelago si fa terreno di confronto, ancora una volta, per le velleità delle superpotenze che lo considerano loro proprietà e impongono la propria visione di politica estera. Godzilla in questo senso è sia l’ultimo baluardo cui aggrapparsi per non perdere i valori del passato, che l’incarnazione dell’inquietudine del presente, come uno tsunami che non si riesce a controllare o un terremoto che distrugge ogni cosa – e proprio il terremoto del 2011 con l’incidente di Fukushima sarà alla base del primo film nipponico dopo una pausa di ben dodici anni, Shin Godzilla. Il futuro, sicuramente riserverà tanto altro e non si farà attendere a lungo: mentre scriviamo, Toho ha appena annunciato il prossimo film della saga, che sarà nuovamente diretto dal Takashi Yamazaki di Minus One e uscirà plausibilmente fra il 2025 e il 2026, mentre il prossimo capitolo di Legendary è previsto per il 2027. I 70 anni, è ormai chiaro, non sono un traguardo, ma solo una tappa di questo inarrestabile percorso (qui a fianco una immagine di Il ritorno di Godzilla di Koji Hashimoto).