FilmmakerFest – La verità sull’occupazione israeliana: No Other Land di Basel Adra, Hamdan Ballal, Yuval Abraham, Rachel Szor

Si chiamano Basel Adra (avvocato, giornalista, regista, attivista palestinese impegnato contro l’espulsione di massa da parte di Israele di Masafer Yatta, villaggio della Cisgiordania meridionale dove è nato), Hamdan Ballal (fotografo palestinese anch’egli originario della Cisgiordania e ricercatore per diversi gruppi di diritti umani che si oppongono all’occupazione israeliana), Yuval Abraham (regista e giornalista investigativo israeliano che vive a Gerusalemme), Rachel Szor (direttrice della fotografia, montatrice e regista israeliana che, come Abraham, vive a Gerusalemme). Insieme, dando forma a un collettivo di resistenza palestinese-israeliano, hanno realizzato No Other Land. Per tutti e quattro si tratta del loro esordio cinematografico, un film d’enorme impatto sociale, politico, emotivo che al festival di Berlino del febbraio scorso è stato premiato come miglior documentario. Un’opera che si basa sul dialogo e la conoscenza, il confronto, sfuggendo a retoriche e propagande e che, proprio per questo approccio dal di dentro, senza filtri, voci fuori campo e distorsioni mediatiche, si pone come un testo necessario e urgente, che andrebbe diffuso il più possibile, a fronte di una tragedia in corso a Gaza e in Cisgiordania da oltre un anno e, più di recente, in Libano compiuta con crudeltà, cinismo e disprezzo di ogni regola e istituzione dal governo israeliano. In tal senso, No Other Land non è “solo” un film, è un gesto e un grido affinché non si chiudano gli occhi e le menti, un atto di militanza che afferma una cosa ben chiara: quanto sta accadendo in Palestina, l’attuazione di una brutale discriminazione che sembra non trovare fine, è cominciato molto prima del 7 ottobre 2023. Decenni fa, più di mezzo secolo addietro.

 

 

Al centro del film ci sono, soprattutto, un luogo e due persone, simboli di una condizione generale, dei pezzi per un tutto. Il luogo è Masafer Yatta, situato nel governatorato di Hebron, da lungo tempo nel mirino dell’esercito israeliano che vorrebbe impadronirsi di quella terra cacciando chi ci vive (e in parte ci è già riuscito); ma chi ci vive sta attuando da anni una resistenza immensa, documentata da No Other Land e rivolta sia al presente sia al passato (il film copre un arco di tempo dal 2019 al 2023, ma contiene anche immagini di periodi precedenti, ovvero a significare che tutto ha radici antiche). Le due persone sono Basel e Yuval, sono diventate amiche passo dopo passo, da quando Yuval decise di recarsi a Masafer Yatta per documentare i fatti attraverso reportages giornalistici. Sul posto, Basel e Yuval si sono conosciuti. E quest’ultimo, frequentando gli abitanti di Masafer Yatta, ha trovato la loro fiducia, non è stato visto come un estraneo – anche se, come si sottolinea nel film, esiste una differenza sostanziale tra lui, Basel e gli altri: da israeliano può entrare e uscire dal villaggio, la sera tornare a casa, mentre i palestinesi lì sono confinati. Ecco che No Other Land assume una funzione “didattica”, nel senso più alto, cioè di portare in primo piano soprusi, limitazioni, abusi per spettatori che poco sanno di quella realtà o, come si diceva, l’hanno recepita filtrata da informazioni mediatiche mainstream la maggior parte delle quali parziali e a senso unico e che raramente tengono conto del punto di vista palestinese.

 

 

Ma No Other Land va oltre e, facendo coesistere esposizione dei fatti e sguardo autobiografico, si fa ritratto di una comunità dando spazio anche ad altre persone facendole entrare nelle scene e rendendole altrettanto protagoniste (il padre benzinaio di Basel, i bambini, le donne, gli anziani, i disabili ugualmente maltrattati dagli invasori). Poteva non starci, a voler trovare un aspetto cozzante con tutto il resto, la parentesi riguardante la visita di troupe occidentali in cerca del dettaglio macabro e “pornografico” tra morte e distruzione. Più forte di tutto, però, No Other Land ci dice, esplicitato fin dal titolo, che un’altra terra non può esserci, che quella terra appartiene al popolo palestinese e non ai coloni, che un film può scuotere l’inerzia, e che ciò può provocare conseguenze nella vita di chi si espone eppure non può farne a meno. Ne sa qualcosa Yuval Abraham che, dopo la prima berlinese, ha ricevuto minacce di morte e non è rientrato in Israele (e nel film lo vediamo insultato e minacciato da un colono alla stregua di un traditore).