Iñárritu ha vinto due Oscar consecutivi come miglior regista (prima per Birdman, ora per Revenant). Oggi va considerato come un autore di riferimento (almeno per l’industria hollywoodiana). Per questo abbiamo deciso di sentire qual è la sua idea di cinema, come lavora con gli attori, che legame è rimasto con il Messico. L’intervista è stata effettuata a metà dicembre 2015.
Volevo essere un musicista
Io faccio il regista perché ho scoperto di essere un pessimo musicista: ho le dita goffe. Ho lavorato in radio e diretto spot. Nel 1999, con Guillermo Arriaga, Rodrigo Prieto, Gael García Bernal girammo Amores perros, il primo per me: tre storie che si incrociano in altrettanti quartieri e tra le classi sociali della nostra città. Ci chiamarono a Cannes, avevamo giusto i soldi per affittare lo smoking, quindi ci sistemammo in una sola stanza. Da allora cambiò tutto. Ma Mexico City l’ho lasciata per ragioni personali, sono cresciuto per strada in un luogo che era difficile ma in fondo tranquillo. Dopo il 2000, la corruzione e la violenza sono aumentate drasticamente, subivi ingiustizie ma non potevi rivolgerti ad alcuna autorità. Avevano rapito mio padre in casa, e mia madre era stata rapinata, così decisi di andarmene. Ora è diverso, la metropoli si è risvegliata, culturalmente soprattutto.
Un cuore messicano
Di messicano penso di avere il massimalismo, il senso dell’esagerazione. A Hollywood mi dicono: “Ma come, avete le spezie e i mariachi, eppure le vostre telenovelas sono talmente drammatiche!”. Non ci capiscono. Mi sento un rom, perché a 16 anni mi innamorai di una donna più grande di me, e fui espulso da scuola, così mi imbarcai su una nave che risaliva il Mississippi. Poi sono andato in Europa e in Africa del Nord, facendo mille lavori. Una volta tornato, mi sono iscritto all’università, ma non ho mai studiato cinema. L’unico maestro che ho avuto è stato Ludwik Margules, un esule polacco docente di teatro da cui ho imparato a tenere sotto controllo tutto. Per il resto ricomincio da zero, sempre. Ho riletto Tolstoj per Birdman e, perRevenant – Redivivo, ho riguardato film che avevo visto 30 anni fa alla Cineteca Nacional: Dersu Uzala – Il piccolo uomo delle grandi pianure di Akira Kurosawa e Solaris di Andrej Tarkovskij.
Revenant
Negli Usa l’hanno definito pre-western perché è ambientato nel 1820. È tratto da un romanzo di Michael Punke: è la storia di un uomo abbandonato nella foresta, sotto la neve, e assalito da un orso. Parla di rinascita e di vendetta. Ho sforato il budget, scontentando i produttori? Però è venuto come volevo. È il mio primo film in costume. Ci mettevamo ore per arrivare sul set, alla fine lavoravamo solo un’ora e mezza al giorno, perché poi non c’era più luce e la temperatura scendeva a 30 gradi sotto zero. Mi piacciono le esperienze estreme. Sono preciso: mia moglie – editor e graphic designer – e i miei collaboratori dicono che sono ossessivo. Se sono arrivato a riscrivere 36 volte una pagina di una delle mie sceneggiature? Può essere. Alla fine, però, Leo non si è lamentato, né del freddo né delle pellicce in cui era prigioniero.
Io e gli attori
Mi stupisco anch’io che tutti gli attori accettino: è stato come quando per 21 grammi – Il peso dell’animasognavo di avere Sean Penn e lui ha detto sì. Brad Pitt ha fatto lo stesso perBabel. E Michael Keaton per Birdman. La prima volta che ho proposto questo film a Leo, è stato sei anni fa. È strano perché gli attori hanno bisogno di sicurezze, e io sono sempre terrorizzato. Così fingo di sapere tutto. Ho 52 anni. È come quando sei in un tunnel che prima era illuminato e adesso lo è di meno. Oppure si iniziano a spegnere le luci della festa. Ho spesso pensato che i miei lavori fossero merda, arrivo sul set e mi sembra di non saper fare niente. Però adoro le sfide, e questo mi fa andare avanti. Dicono che realizzo solo film sul dolore, ma in realtà racconto la ricerca di una persona da amare e da cui essere amato. Che è quello che accade a me, da sempre. In più ho il timore di esserle passato accanto ed essermela lasciata scappare. Revenant – Redivivo è una storia glaciale, letteralmente, ma con un cuore caldissimo perché io, in questo continuo passare dalla paura alla sfida, sono così.