Se qualcuno vi racconta che l’incipit è una delle parti più importanti di un libro, beh, credetegli. Un buon incipit è un gancio che uncina il lettore e lo tira dentro nel libro, è il punto di accesso per eccellenza e, fin da subito e senza timore di esagerare, può dirvi se andrete avanti con la lettura oppure no. L’incipit di L’amore prima della fine del mondo, di Jacopo Masini ( Epika Edizioni), non è buono, è ottimo. Sì perché non si limita a colpire il lettore con una combinazione jab-diretto di quelle che ci si risveglia due o tre capitoli dopo, ma sintetizza in due cartelle scarse il senso profondo e la direzione del rapporto fra due personaggi tratteggiandone con poche frasi le due visioni del mondo, le essenze di due esseri umani cogliendole in un movimento di rottura tanto doloroso quanto tragico nel suo essere non necessario. Masini scrive tanto di pancia, semplificando la trama per potersi concentrare su una serie di diretti che spara lì, tra il fegato e il cuore, piegando in due il lettore che assiste all’autodistruzione interiore di un ragazzo che fa a pezzi quanto di bello nella vita con una metodicità che ricorda i protagonisti della trilogia di Pusher, girata da Nicholas Winding Refn. Sistematiche e calcolate, le ferite che Vanni, il personaggio principale di L’amore prima della fine del mondo, infligge a tutto quello che lo tiene legato al suo presente, fanno male, un male cane e al tempo stesso non si riesce a smettere di guardarlo mentre si fa a pezzi per poi cercare, con tutta la disperazione di chi ha il destino segnato, di rimettere insieme i cocci. Il punto forte del romanzo è lo stile, scorrevole ben oltre i limiti del page turner, centrato e funzionale al fine di trasmettere un dolore vivo e mai compiaciuto. Un libro piccolo e compiuto, bilanciato a dovere in tutte le sue parti. Merita.