Se la morte si fa digitale: Upload di Greg Daniels sugli orizzonti della realtà virtuale, su Prime Video

Sulla carta le premesse di Upload fanno scaturire molto più di una semplice manciata di spunti di riflessione, sulle più recenti tecnologie e i mondi virtuali, sul sé digitale fino alle implicazioni sociologiche di una vita post-mortem progettata per bit e distinzione di classe. La trama della serie in 10 episodi creata da Greg Daniels e lanciata in streaming da Amazon Prime Video dall’1 maggio, mette in gioco infatti potenzialità tematiche molto interessanti: siamo in un prossimo futuro, il 2033, un tempo in cui la scienza ha scoperto come preservare la mente dal decesso fisico del corpo isolandola su un supporto fisico e rendendola caricabile (un upload appunto) in aldilà virtuali dove sopravvivere teoricamente per l’eternità, rimanendo in contatto con amici e familiari. A patto di possedere denaro a sufficienza per pagarsi la permanenza e i piccoli lussi e miglioramenti dei cosiddetti “acquisti in-app”. Il più prestigioso (e caro) di questi paradisi digitali è Lakeview dell’azienda Horizon, splendida location (una residenza in stile vittoriano) incastonata tra le montagne con un’incantevole vista su lago, ma l’offerta commerciale propone numerose alternative adatte a ogni tipo di gusto e possibilità economica. Su Lakeview, dopo un incidente in auto, fa l’upload Nathan (Robbie Amell), un giovane programmatore che nonostante l’invadenza di una fidanzata ancora viva nel mondo reale, fa amicizia e si innamora del suo “angelo”, l’assistente online Nora (Andy Allo) che lo segue dal suo ufficio di New York, mentre lentamente emergono dettagli inquietanti su una sorta di complotto ordito per eliminarlo definitivamente.

 

 

Il presupposto di Upload è dunque quello di uno scenario futuro fondato sull’estensione e sull’estremizzazione di un apparato e un lessico tecnologici già concreti ed esistenti, riconoscibili perché parte, in diverse misure, della nostra quotidianità, dagli sviluppi della realtà virtuale/aumentata e dei mondi paralleli (pensiamo ad esempio alla simulazione virtuale di “Second life”) alle dinamiche commerciali che guidano il mercato di app e software, oltre alla terminologia informatica a cui attinge lo stesso concetto di upload. Un meccanismo non dissimile da quello già applicato nelle storie ben più distopiche di Black Mirror, qui però sviluppato in una chiave fortemente comedy che punta a evidenziare le problematicità di una realtà dominata dal digitale e dal desiderio di fuga dal reale, con sguardo ironico e surreale. La serie di Greg Daniels dà forma a una società schiava dell’hi-tech e di un capitalismo che attinge a questa dipendenza, in cui ovunque è un abbondare di display, droni, webcam, automobili che si guidano da sole, smartphone impalpabili che appaiono come ologrammi tra le dita, stampanti 3D per il cibo, oltre a tutto l’hardware associato alle esperienze VR (la tuta per fare sesso con gli upload). Fondendo commedia e romanticismo, ma anche note thrilling e toni più politici, Daniels prova a metterci dinanzi a un futuro che potrebbe essere dietro l’angolo semplicemente rielaborando il contemporaneo, con gag e battute spassosi (parliamo pur sempre di un autore che ha messo la firma sulla comicità di The Office, Saturday Night Live, I Simpson) che funzionano soprattutto grazie ai caratteristi del cast secondario, in particolare Zainab Johnson (Aleesha) e Kevin Bigley (Luke).

 

 

Se allora il gioco di rimandi al presente e la resa visiva della vita nel virtuale sono l’aspetto più accattivante, Upload si rivela più debole invece nel voler stratificare le molteplici linee tematiche che si diramano nei 10 episodi, lasciando in sordina qualche spunto scandagliato a metà. Ne è un esempio la sotto trama sul complotto per uccidere Nathan, autore di una versione gratuita (e quindi rivoluzionaria) dell’upload osteggiata dalla potente Horizon che fa pagare a caro prezzo l’accesso alla sua Lakeview, quasi un McGuffin grazie al quale le storie vengono puntellate da incursioni thriller. Come pure le implicazioni sociali e di classe, che fanno dell’upload un privilegio borghese, mentre a chi non può permetterselo non resta che una versione basic con larghezza di banda da 2 giga (un inferno più che un paradiso) o morire come è sempre stato. Che resta comunque una scelta possibile, perché nella società raccontata da Upload non tutti subiscono l’attrazione di una vita virtuale che vinca il decadimento del corpo, ma anzi c’è chi trova conforto nell’ignoto di una morte tradizionale, come il papà di Nora deciso a non scegliere di farsi caricare su Lakeview perché spera di poter rincontrare la moglie venuta a mancare anni prima. Se il dialogo sul crinale vita/morte affronta con leggerezza e ironia le complicazioni filosofiche e spirituali, riflettendo in una chiave più politica sul guadagno per le grandi aziende di servizi digitali, la serie si conclude con dinamiche quasi paradossali sulle ultime scelte dei protagonisti innamorati, terminando con una classica situazione di apertura a una seconda stagione, già annunciata. La vita (o la “non-morte”) a Lakeview per ora resta in stand-by.