La scienza al servizio del racconto? Dai tempi in cui Jorge Luis Borges e Italo Calvino pubblicavano i loro racconti creando «ontologie fantastiche, genealogie sincroniche, grammatiche utopiche, geografie fittizie, storie universali multiple, bestiari logici, sillogismi ornitologici, etica narrativa, matematica immaginaria, thriller teologici, geometrie nostalgiche e memorie inventate» (Ivan Almeida e Cristina Parodi a proposito di Borges), la risposta non solo è diventata positiva, ma non ci stupisce più. Di quei racconti colpiva il pensiero inteso come perenne perplessità e l’invenzione narrativa come forma suprema della razionalità. Qualcosa di non molto dissimile colpisce in Prisma, neonata serie tv diretta per Prime Video da Ludovico Bessegato (regista delle prime quattro stagioni di Skam Italia e sceneggiatore della quinta), che l’ha scritta insieme a Alice Urciolo (con cui ha già sceneggiato la quinta stagione di Skam Italia), sviluppando un’idea che entrambi hanno condiviso con Giulio Calvani. La struttura narrativa della serie, che per ora conta una sola stagione di otto episodi, è prismatica in senso letterale. Di una letteralità che si sviluppa su due livelli interconnessi.
Da un lato la storia ruota attorno a due fratelli gemelli, Marco e Andrea (i due poligoni uguali posti su piani paralleli che fungono da facce basi del prisma), che vivono in una dimensione di prossimità costante data per lo più dalla convivenza scolastica con i coetanei Daniele, Nina e Carola, le facce laterali poggiate sui lati delle facce basi del prisma. Quanti siano i lati delle facce basi di Marco e Andrea non siamo in grado di dirlo neanche a serie conclusa, complice l’interpretazione straordinaria dell’esordiente Mattia Carrano, che cambia voce, postura, mimica e intensità ogni volta che passa da un personaggio all’altro. Complice anche la sensazione immediata che il gemello dominante ed estroverso Andrea nasconda una fragilità ingombrante e viceversa che il gemello debole e introverso Marco sia portatore di una forza insospettabile. Complice, infine, la costante e complicata interazione con i loro oggetti d’amore, Daniele, Nina e Carola, interpretati nella loro delicatezza e volubilità dai bravissimi Lorenzo Zurzolo, Chiara Bordi e Caterina Forza.
Dall’altro lato il racconto che veicola il prisma della storia la usa come dispositivo ottico proiettando dentro ciascuna delle sue facce il fascio luminoso multiplo dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale, sacro graal cercato senza sosta dagli adolescenti che popolano la serie, e facendolo uscire da un’altra faccia dopo avere subìto una deviazione che ne compone e scompone a più riprese il colore dominante. Non a caso gli otto episodi della serie hanno per titolo: 1. Rosso, 2. Arancione, 3. Giallo, 4. Verde, 5. Blu, 6. Indaco, 7. Viola, 8. Bianco. Non a caso si tratta dei colori che troviamo sulla rainbow flag (i primi sette) più il bianco che troviamo al centro della transgender flag. Resta fuori delle due bandiere il colore rosa, quello del triangolo rovesciato utilizzato nei campi di concentramento nazisti per identificare gli uomini omosessuali, dunque quello del pregiudizio e della repressione violenta, perché Prisma è prima di tutto un teen drama dove gli adulti sono figure assolutamente marginali (tranne in un episodio quella del padre di Andrea e Marco) e il mondo raccontato è quello fluido e vitale degli studenti di un liceo di Latina che si dibattono in una provincia dove, sebbene ogni tanto vi facciano capolino il disagio, la povertà e l’ignoranza, sono liberi di sperimentare e sperimentarsi, pronti a ridefinire senza sosta le loro facce del prisma. Così troviamo il maschio alfa che racconta di avere avuto un’esperienza omosessuale, il maschio che non si identifica appieno nell’identità di genere che gli è stata attribuita, la lesbica che si innamora di un maschio, il maschio innamorato di un altro maschio che si innamora di una ragazza ecc., in un caleidoscopio di rifrazioni e slittamenti che ci ricordano che l’identità di genere e l’orientamento sessuale non sono che categorie create e imposte dagli adulti per assicurare stabilità a una società che col passare dei secoli ha visto gli individui che la compongono sviluppare una grande quantità di patologie comportamentali proprio a causa della mortificazione inflitta alla loro complessità da quelle categorie.
Lo stesso Bessegato ha detto che durante la lavorazione di Skam Italia si è reso conto che per gli adolescenti di oggi «molti dei dualismi che fino alla mia generazione erano stati dei dogmi inscalfibili, non lo erano più. E non parliamo solo di orientamento sessuale e identità. Parliamo di una generazione che sembra vivere e scegliere gli spazi di mezzo nel senso più esteso possibile. Una generazione e un mondo in cui lo stesso concetto di diversità sembra non essere più in grado di descrivere il reale. Perché se non c’è più convergenza rispetto a un’idea di normalità, non può esserci nemmeno rispetto a quella di diversità. Non più normali, non più diversi. Solo un’infinità di esistenze uniche». Così Prisma può avere solo una possibile conclusione, figlia di una perplessità di pensiero coltivata con passione e di un’invenzione narrativa che fa della razionalità il principio ordinatore di un universo infinitamente complesso che non si vuole in alcun modo mortificare: il bianco, somma apparente di tutti i colori, non esiste, ma è «solo una sintesi affollata».