Chiedete di Sundance a un critico di NYC e a uno di LA, otterrete due risposte diametralmente opposte, il cui indice di gradimento si può misurare in rapporto alla distanza che li separa dalla piccola città sciistica dello Utah. Agli Europei, che ogni anno in misura più cospicua lo visitano, il festival resta invece ancora un oggetto misterioso. Difficile comprendere le logiche che presiedono al posizionamento dei film nelle varie sezioni e ancora meno capire il modo in cui vengono programmati, soprattutto nelle proiezioni Industry. Ma in fondo tutto questo poco importa a un festival che, nonostante lo sforzo effettuato negli ultimi anni a potenziare il suo lato internazionale, concede al panorama domestico oltre il 70% della programmazione !
Il Sundance nasce come laboratorio e incubatore di talenti made in US. Nasce come uno spazio di ritrovo a poca ma salutare distanza da Los Angeles. Nonostante diverse edizioni e un peso specifico che ne fa uno dei festival più influenti al mondo il suo orizzonte resta questo; anzi, di fronte alla sempre più palese crisi creativa delle major, Sundance è diventato non solo una piattaforma di lancio per nuovi registi ma anche una scialuppa di salvataggio per le grandi sorelle. E forse proprio tenendo in mente che due dei contender degli Oscar 2015 (Boyhood e Whiplash) hanno iniziato il loro cammino qui, quest’anno più che mai si sono scatenate aste che hanno portato in breve film come Dope o Me and Earl and the Dying Girl (il grande vincitore di questa edizione) a cifre a 8 zeri. Qui sotto un intervento di Alfonso Gomez-Rejon, il regista di Me and Earl and the Dying Girl.
Diversi i titoli molto attesi tra questi non ha deluso le aspettative Mistress America, ultimo lavoro di Noah Baumbach che, insieme alla sua compagna e musa Greta Gerwig, si conferma uno degli scrittori più raffinati e duttili, tra i pochi capaci di raccogliere l’eredità di Allen. Diverso è invece il comico che abita l’universo di Andrew Bujalski, meno seducente a prima vista e più profondamente acido. Due anni fa il suo Computer Chess aveva fatto il giro del mondo; Results è un film apparentemente più convenzionale, che se la prende con la mania del fitness che spopola negli USA e che mette in evidenza un cast tanto composito quanto riuscito : Guy Pierce, Kevin Corrigan, Cobie Smulders, Giovanni Ribisi.
L’edizione 2015 ha anche messo in mostra due opere prime dalla grande forza espressiva come The Witch, dramma storico ambientato nel XVIII secolo che sfiora a più riprese l’horror, e James White, ritratto di un giovane ragazzo la cui “dolce vita” è costretta a fare i conti con l’improvvisa malattia della madre. Il primo è un film molto preciso nel tratteggiare il percorso di dissoluzione di una famiglia di coloni americani che, una volta banditi dal villaggio, si trovano ad affrontare il mistero delle sterminate foreste vergini e delle creature che le popolano. Girato con taglio geometrico e nutrito di riferimenti alla tradizione gotica, il film si basa su documenti storici ed è parlato in inglese antico: ciò che colpisce di più però è l’abilità del regista di far recitare i suoi attori, anche i più giovani. James White è invece un’opera molto più epidermica che si appoggia quasi esclusivamente sulla stretta relazione tra macchina da presa e attore principale.
La sua forza sta nella libertà di costruzione narrativa, nell’uso ardito di ellissi e raccordi tra temporalità diverse, ma anche nel semplice progetto di rendere fragile e commuovente non tanto la madre malata ma il figlio scavezzacollo e menefreghista. Scommessa vinta a sentire le reazioni di pubblico, stampa e compratori!