Un giovane sta dormendo sulla riva del fiume Trebbia. Siamo quasi al tramonto e il sole e il rumore dell’acqua che scorre rendono l’atmosfera più che mai lieve. Fino a quando, però, si sentono delle voci di uomini che parlano. Da lontano avanzano alcuni soldati tedeschi, armati, alla ricerca di qualcuno. Quando vedono Tonino (questo il nome dell’uomo addormentato), affrettano il passo e sparano. Capiamo che lo stanno cercando, ma lui è più veloce e si tuffa nel fiume sfuggendo ai suoi inseguitori. Quando riemerge il contesto è cambiato. Non è più un partigiano fuggiasco, non c’è più la guerra. Siamo ai giorni nostri e il Trebbia è animato da una gioiosa folla di bagnanti. L’ultimo film di Marco Bellocchio, La lotta, è un cortometraggio girato nell’ambito del Progetto “Fare Cinema” collegato al Bobbio Film Festival, e presentato nei giorni scorsi a Cannes nell’ambito della Quinzaine des Réalisateurs. Un film in linea con i precedenti di questo progetto, capace di narrare una storia ampia con il massimo della sintesi, poche parole, ma luoghi e situazioni inconfondibili, sferzanti.
Sulle rive del fiume è un giorno di festa, ma Tonino ignora i fuochi d’artificio e si avvicina al monumento ai caduti. Lo ascoltiamo, allora, recitare una delle Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana e capiamo che solo qualcosa è cambiato da quella prima immagine. A dispetto del tempo e dello spazio, Tonino non si è mai allontanato da quei fatti, li ripensa come se per lui il tempo si fosse fermato. E di fatto è così, almeno stando all’orologio che porta al polso, prigioniero di una bolla d’acqua. “Era l’orologio dell’Intrepido, medaglia d’oro della Resistenza, me l’ha regalato suo figlio” dice Tonino “Bisognerà portarlo a Milano, o in Svizzera, alla casa madre, è troppo vecchio, qui non sanno come aggiustarlo”, dice lei, ma lui incalza: “Devo sempre portarlo al polso, Emma. Per me il tempo è importante”, ma poi non accetta di scambiarlo con quello della sua interlocutrice, di plastica, subaqueo e molto più preciso. Poco prima aveva discusso con la madre del suo ritormo all’Università. “Non ti preoccupare mamma”, le dice lui. “Prima o poi la guerrà finirà e dovrai decidere cosa fare…” risponde lei. Entrambi confusi e disorientati l’uno dal comportamento dell’altro. Poi lui si chiude nella sua stanza, foto di partigiani alle pareti e una brandina militare come letto. È un gioco sottile sul passato che torna ad essere rivissuto, sul tempo che si sdoppia in uno stesso istante. Ieri e oggi lungo le rive di quel fiume che, nel finale, finiscono per guardarsi. Lui vestito da partigiano da un lato, lei, Emma, dall’altro, che lo osserva senza parole. Come dire che i valori della Resistenza e della libertà sono racchiusi in una bolla di incomprensione e rischiano di essere dimenticati. Scritto e diretto da Marco Bellocchio, ha la fotografia di Daniele Ciprì e la musica di Nicola Piovani.