Materia oscura, Montenegro XIX Secolo, guerre lontane sempre presenti, prossimità dell’odio, densità del sentimento di morte che pervade i volti, la luce, i paesaggi: Wondrous Is the Silence of My Master, l’opera seconda del croato Ivan Salatić presentata a Rotterdam54 nella Tiger Competition, ha lo spessore greve di un orrore scritto nella storia, che trova la sua trasfigurazione nella parabola truce e gentile di una fiaba oscura. Il sentimento di impotenza, paura e morte che grava su tutto promana da Morlok, signore delle sue terre, monaco e poeta malato nello spirito e soprattutto nel corpo. La figlia, il servo e il suo sgherro Djurko vivono nella sua ombra e il suo profondo malessere ricade su di loro come una maledizione che promana sulla sua casa e su tutta la sua terra. Stanco di tutta quella morte che lo circonda, incapace di poetare e di trovare un senso nei versi che tenta di scrivere, decide di partire con la figlia e i due servi, diretto nel sud dell’Italia per curarsi. Ma tutto è inutile, perché la morte che ha dentro lo accompagna e poi c’è Djurko, il servo, che è lo specchio fedele della paura del suo maestro, ne vive e amplifica la decadenza, la teme come teme anche la presenza di un giovane nuovo allievo, che ha preso il suo posto nelle attenzioni di Morlok. Ivan Salatić fa un cinema cupo e gentile, lo conosciamo dai suoi corti e da You Have the Night, il suo esordio visto alla SIC veneziana nel 2019: ci ha messo un po’ a finire questo suo secondo lavoro, tempi sospesi di Covid ma anche progettualità legata al bisogno di approfondire, cercare, scavare.
L’esito è un film che è un dramma storico traslato in una metafora esistenziale, in cui la materia è data dalla fatalità di un sentimento interiore dal quale non c’è scampo e che impregna la scena, lo spazio, la luce, i suoni e i silenzi. Era già così in You Have the Night e lo è ancor di più in Wondrous Is the Silence of My Master, che ha la tessitura di un arazzo ma la sostanza di una fiaba cupa, in cui il male avviluppa ogni possibile dolcezza. Morlok, arcaico signore di un male che nutre il pentimento e cerca la ragione, è l’emblema di un mondo cristallizzato nel suo spirito oscuro, si muove senza speranza in una realtà che invece pare portata alla luce, al riscatto o quanto meno a una serena sopravvivenza. Dinnanzi alla quale si pone, fatalmente, la schiavitù della paura, la servitù del male cui soggiace Djurko, che sino alla fine terrà il suo maestro prigioniero della sua devozione. Composto in vividi cromatismi stinti come fossero quelli di un arazzo impolverato (la fotografia è di Ivan Marković), Wondrous Is the Silence of My Master è una coproduzione anche italiana e conferma le qualità di Ivan Salatić, la sua capacità di intingere i film in un umore pregnante e intenso, ma per nulla monocorde (ha ragione il regista a dire, con una certa ironia, che considera il suo film più una commedia storica che un dramma…). Fondamentale il commento musicale in controbattuta moderna trovato nelle oscure sonorità suditaliane di Mai Mai Mai (Toni Cutrone).