Il primo film di Louis Garrel Due amici esce in Italia con quattro anni di ritardo e dopo che il pubblico ha potuto amare L’uomo fedele, suo secondo lavoro dietro la macchina da presa, e, prima ancora, il cortometraggio La Règle de trois, interpretato, come Due amici da Vincent Macaigne e Golshifteh Farahani. Il film si ispira a I capricci di Marianne dello scrittore Alfred de Musset e segue in tre giorni e due notti le vicende di Clement (Vincent Macaigne), Abel (lo stesso Garrel) e Mona (Golshifteh Farahani), personaggi che incarnano una certa tradizione del cinema francese nel loro essere assolutamente fuori posto dentro uno schema esistenziale in cui è difficile trovare corrispondenza. Come fossero alieni che si cercano e si riconoscono. Così Clement si innamora perdutamente di Mona, cameriera in un chiosco della stazione centrale di Parigi e si confida con Abel, che lo convince a forzare la situazione in modo che la ragazza a non possa fare ritorno “a casa” con il solito treno. Mona, che in realtà esce tutti i giorni di prigione grazie ad un permesso di lavoro, si ritrova per prima sbalzata fuori dalle regole ferree della sua vita, circondata da due uomini ugualmente sognatori e “precari” del loro stesso vivere. Un triangolo amoroso travolgente e lieve, fisico e poetico, in cui Garrel, con autoironia e intelligenza, mette in scena se stesso quasi senza veli e si concede con l’amico Macaigne duetti di vertiginosi doppi sensi.
La vita e il cinema si sovrappongono spesso e lo scompiglio che ne deriva è foriero di infinite possibilità, pensando a Truffaut e al romanzo francese. Come quando i tre fuggitivi si travestono da rivoluzionari e partecipano in qualità di comparse alle riprese di un film sugli scontri parigini del maggio ’68. Su quel set si chiudeva The Dreamers di Bernardo Bertolucci, con un giovanissimo Louis Garrel protagonista di un altro triangolo e tutti gli interrogativi amorosi che restavano senza risposta. Ritroviamo qui (ma cambiati di segno) equivoci, piccoli segreti, scambi di ruolo e una corsa a perdifiato dentro i luoghi insoliti di una Parigi notturna, tra discoteche, ospedali e una chiesa quasi vuota. Il piacere del racconto traspare dai momenti semplici che altrove avremmo definito di passaggio. Conversazioni accennate sul bancone di un bar, che proseguono nei gesti e negli accadimenti. Racconti intrecciati l’uno nell’altro, complicazioni amorose attorcigliate in nodi che nessuno scioglierà. Perché alla fine di questi tre giorni randagi, vissuti seguendo il mal d’amore di Clemence, nulla è cambiato per i tre nuovi amici, ma al tempo stesso tutto è diverso. Mona torna in carcere e probabilmente non potrà più lavorare, mentre i due amici, dopo la bufera sentimentale, torneranno alle loro giornate e a conversazioni inconcludenti, ma sapranno cose di se stessi che prima ignoravano. Quello di Garrel è un cinema che omaggia se stesso nella scelta di porre al centro antieroi d’altri tempi coinvolti in vicende che sanno di antico. Poetico e generoso, incompiuto e libero, questo film anticipa la libertà espressiva e la saggezza de L’uomo fedele, la voglia di seguire vie già aperte, ma con uno sguardo e un tempo più che mai personale.