Il presente di Ornella Vanoni in Senza fine, di Elisa Fuksas

Chi si aspettava un film sul passato, sui ricordi, sull’onda di una musica che ha segnato una bellissima stagione di stravolgimenti culturali, rimarrà certamente deluso da Senza fine, diretto da Elisa Fuksas, in concorso alle Giornate degli Autori nell’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Il film, infatti, scandaglia con una certa originalità, per quanto a volte un po’ ostentata, il personaggio di Ornella Vanoni che, come si dice, non ha bisogno di presentazioni. Senza fine, dando per scontato e conosciuto il passato della cantante, centra la propria attenzione sull’oggi, sulla Ornella Vanoni ottantasettenne, che ancora gira l’Italia per cantare le sue canzoni, incide dischi, esibisce il suo corpo, mostra le sue fatiche e si incazza pure. Il passato appartiene a lei e al pubblico e necessariamente, ma incidentalmente, viene richiamato come in un ipertesto, come delle note a piè di pagina. Il film è girato in un periodo di tempo limitato in uno stabilimento termale di Castrocaro Terme, che offre la possibilità alla regista-architetto di dialogare con grande fluidità con gli spazi architettonici. Quest’uso della macchina da presa, in relazione alla simmetria degli spazi razionalisti, resta uno dei temi del film, per quanto, giustamente, secondario rispetto al focus sulla protagonista. Forse il dato entusiasmante è proprio quello del coraggio di avere voluto girare un film su un personaggio così famoso e così legato anche alle belle stagioni della cultura italiana, ma prendendo le distanze da ogni altra possibilità che non sia quella di lavorare incessantemente sulla persona colta nel suo attimo del presente: sul letto dopo il sonno della notte con la colazione sulle lenzuola, durante i massaggi come in una seduta psicanalitica, nella sua ritrosia dovuta alla stanchezza della giornata e infine, alla fatica di donna quasi novantenne nel girare un film con le pretese della regista e le necessità vitali che a quell’età, si immagina, si abbiano.

 

 

Senza fine, dunque, non è un film sul passato di Ornella Vanoni, che lei stessa definisce come un mélange complessivo senza capacità di distinguere un’epoca da un’altra, un anno dall’altro, considerandosi, in fondo, il frutto presente di quel passato. Elisa Fuksas, da parte sua partecipa al gioco da coprotagonista, esibisce la sua amicizia e fa da spalla alla loquace Ornella, che non ha veli mentali e come sempre, così come lo è stata come personaggio pubblico nelle sue scelte canore e della vita privata, sa essere trasgressiva e mai banale, dotata di una innata (auto)ironia, mai reticente, anzi quasi mai appagata dalla sua stessa presenza in scena, consapevole del suo ruolo e contenta della sua vita. “Ho incontrato molta gente interessante durante la mia vita”, dice ed è questa consapevolezza a renderla ancora affascinante nella sua poliedrica vita d’artista. Forse ciò che manca al film, in questo presente così vivo ed empatico è l’emozione della musica. Ornella Vanoni è inscindibile dalla musica che ha attraversato in più vite, come dice lei stessa nel film, e che l’ha attraversata in più forme e generi. In Senza fine manca questo brivido, ma a rifletterci è quasi normale per un film che sa farsi apprezzare per una sua razionalità di fondo, più che per un profilo emozionale.

 

 

Ma anche in questo scenario non avrebbe guastato che Ornella Vanoni fosse anche e maggiormente messa in relazione con quella musica che ha avuto un significato così decisivo per la sua vita ancora oggi tanto amato dall’artista.Si diceva poi dell’ostentata originalità del film e vale la pena di tornare per un attimo sulla questione. Elisa Fuksas ha sicuramente, come si rilevava in precedenza, il coraggio di scardinare modelli consueti utilizzati per film di questo stesso genere. Per lavorare in questa direzione adopera la forma della scomposizione narrativa, che, in adesione al personaggio, diventa forma espressiva controcorrente, e quindi con buona pace di ogni consistenza solo apparentemente grezza diventa, invece, estetica ricercata. In questa stessa direzione prova persino a non prendersi troppo sul serio, ha l’aspetto e in alcuni momenti il desiderio forte di essere ancora un work in progress, un lavoro da rifinire, un film ancora da chiudere. Forse sono proprio questi momenti estremi – in cui ad esempio si oscura la visione per avere accidentalmente coperto l’obiettivo della macchina da presa o le sequenze che mettono a nudo il lavoro del cinema e le strutture portanti della narrazione – a sembrare astratti dal contesto, estranei al racconto, decontestualizzati rispetto a quel focus di cui si diceva, alla ricerca di una originalità che in effetti era già più che ritrovata in quel personaggio così straordinariamente originale come Ornella Vanoni.