Antoine e Olga, borghesi francesi ex-integrati, hanno trovato il loro paradiso. In fuga da una vita intellettuale in fondo insoddisfacente, si sono traferiti in Galizia: il sogno di una nuova agricoltura sostenibile, il recupero di vecchie case per la comunità, il coltivare e l’allevare come gesti – alla fine – politici. Antoine e Olga pensano, anzi sanno, di essere nel giusto. In quell’angolo di Spagna hanno riformato un ideale, testano un’ipotesi, ragionano e salvaguardano. Sono i buoni. Ma per ogni “buono” c’è il contrappasso. Xan e Loren sono la loro nemesi: contadini nati e cresciuti in quello spicchio di terra ostile, abbagliati dall’utopia di un facile guadagno, concretizzato dall’arrivo delle pale eoliche. Una sorta di entità extraterrestre scambiata con denaro. As bestas si pone in mezzo a questo conflitto: umano, politico, sociale, esistenziale. Gli invasori gentili, dallo sguardo sorridente e dalle idee ferme, e il blocco conservatore, enfants du pays che desiderano rinunciare alla loro terra per sfinimento, consunzione, fatica. Rodrigo Sorogoyen racconta un angolo di Europa inconoscibile e freddo. Ci descrive una Spagna fuori dal mondo e fuori dal tempo, che esige il proprio tornaconto, rifiuta un’integrazione coatta, morde per un futuro appena abbozzato. Se da una parte Antoine e Olga cercano una nuova patria, figlia del loro testardo lavoro, ma si sentono continuamente espulsi, respinti come fossero invasori, dall’altra Xan e Loren percorrono la loro strada di defraudati, rivendicano e minacciano, rifiutano, come possono, il loro ruolo precostituito.
Sorogoyen sceglie di raccontare questa storia di difficile vicinato – umano, politico, sociale – come un thriller. Confronta con violenza i corpi contrapposti di Denis Ménochet, un Antoine fermo nelle sue posizioni, appesantito dal suo corpaccione, illuso nelle sue speranze fantasmatiche, e di Luis Zahera (straordinario), che mette in scena uno Xan asciutto nel suo rancore, increspato nel volto da una devozione alla vendetta, raggelato da un odio di cui neanche conosce il motivo. As bestas costruisce una tragedia esistenziale con sfumature noir, riducendo al minimo gli accadimenti, innalzando anzi il livello dello scontro e della tensione con scarti accennati, attraverso un uso distillato di dialoghi taglienti come la lama di un coltello e di gesti sempre definitivi. Le parti in causa oscillano tra inclusione ed esclusione, tra rifiuto dell’altro e potenziale adattabilità, tra vita e morte. Il tempo sembra sospendersi a ogni battuta, cristallizzato dalla minaccia sottesa in ogni sequenza, come a intendere un senso di morte immanente, sempre pronto a manifestarsi. E se il baratro è sempre in agguato, sarà lo spirito indomito di Olga (Marina Foïs, anche lei eccellente nel suo cesellare un personaggio spigoloso e materno, indomito e doloroso), donna in un mondo governato dal potere irrazionale e implacabile del maschile, a cercare una fusione impossibile tra gli estremi inconciliabili, trovando forse le coordinate di un nuovo posto nel mondo, di una tragica pacificazione governata da un intimo senso morale.
Sorogoyen costruisce un dramma da camera immerso però in un mondo rurale, ancestrale, irriducibilmente antico. Lo carica di un peso da tragedia shakespeariana per poi localizzarlo, renderlo inimitabile. Ed è inimitabile, e al tempo stesso emblematico: il cinema di Sorogoyen è l’esempio che ci mostra che il genere non va plasmato, rimasticato ma piuttosto ripensato e reinventato. As bestas è un noir implacabile che è capace, mettendo in scena con accanita verità una manciata di personaggi, di raccontare Europa e patriarcato, resistenza e vendetta; un film contemporaneo perché sincero, etico perché lucido, feroce perché diretto. Sorogoyen fa il cinema più utile che si possa chiedere: è l’oggi raccolto in immagini, è un fallimento mostrato in diretta, un film che non vuole giudicare se non attraverso la forza del grande – grandissimo – cinema.