“C’erano giorni in cui entrare in auto a Santa Monica era come garantirsi le allucinazioni senza la rogna di dover comprare e poi assumere una particolare droga, anche se certi giorni, di sicuro era meglio assumere qualsiasi droga che entrare in auto a Santa Monica.”
Da sempre il mondo di Pynchon è attraversato da personaggi nevrotici e per così dire alieni. Di più la sua scrittura (in originale) è spesso “demente e feroce” – definizione che ho letto anni fa (penso sul glorioso Europeo)- e che credo sia perfetta ancora oggi. Come scrittore lo affascina l’intollerabile, si pensi solo alla snervata Oedipa Maas di L’incanto del lotto 49, paradossale romanzo di formazione. Per questo Paul Thomas Anderson è uno dei pochi autori in grado di portare sullo schermo un romanzo dell’autore dell’Arcobaleno della gravità. Si trova a suo agio quando deve comporre una piccola mitologia californiana, tenera e amara, pop e rumorosa come ha perfettamente dimostrato in Boogie Nights.
E l’assenza dal grande schermo ha un che di ironico, visto che tutti i romanzi di Pynchon sono saturi di cinema, in Vizio di forma sono citati decine di titoli con il vezzo di fare seguire al titolo l’anno fra parentesi: Ho camminato con uno zombie (1943), Vacanze romane (1953), Il mago di Oz (1939) e così via. Doc Sportello è un investigatore privato, ex surfista, appassionato di droghe, con ufficio che ha una targa programmatica: LSD indagini (Localizzazione, Sorveglianza, Discrezione). Il romanzo si apre con una sua vecchia fidanzata, Shasta, che lo va a trovare a casa per incaricarlo di indagare sul suo amante, il costruttore miliardario Mickey Wolfmann in pericolo perché la moglie lo vuol fare rinchiudere in una clinica. Doc non inizia nemmeno a lavorare che viene arrestato per l’omicido di una guardia del corpo del miliardario che nel frattempo è scomparso come la sua ex ragazza. Ora gli tocca difendersi dalle attenzioni dallo spavaldo e bizzarro sbirro “Bigfoot” Bjornsen (Josh Brolin), poliziotto che Doc si ritrova anche sullo schermo in improbabili spot pubblicitari e finisce per dovere fare pure i conti una associazione-setta di dentisti assassini.
Fedele alla pagina, lo Sportello di Paul Thomas Anderson, interpretato da un Joaquin Phoenix fantasmagorico e acidissimo che ricorda un incrocio fra un giovane Joe Cocker e un Neal Young basettone, è condannato a una pratica di voyeurismo il cui presupposto mimetico è un’asciutta mancanza di coscienza (ovviamente compresa quella di classe). In fondo non fa niente, guarda solo e non è che sia poca cosa. Rispetto al libro una caratteristica di Doc è però scomparsa: non c’è più traccia della sua fissazione per John Garfield, autentico eroe della classe operaia contrapposto al finto duro e troppo elegante Bogart. Sorprendentemente, la deviazione più evidente di Anderson da Pynchon suggerisce un grande rispetto, piuttosto che una solare critica per lo scrittore. Il regista si è posto il problema di recuperare i passaggi descrittivi e le riflessioni socio-politiche, per questo promuove un personaggio minore, una sorta di mistica ex assistente del detective, Sortilège come voce recitante, fuori campo. Secondo Joaquin Phoenix autore e regista erano regolarmente in contatto telefonico durante la lavorazione e chissà se i colloqui hanno influito su questa scelta. Comunque sia Sportello mantiene una conoscenza enciclopedica nei suoi due campi d’elezione: il cinema e la farmaceutica in senso molto ampio. Di ritorno dalla spiaggia o dal suo incongruo girovagare Doc si abbatte spesso sul divano per corroboranti sessioni notturne di film in tv accompagnate da pantagrueliche fumate. Sullo sfondo rimane la Gordita Beach del 1970, un immaginario hippie-friendly sobborgo di Los Angeles situato a meno di 20 miglia da Hollywood, adagiata su una colonna sonora firmata dal Radiohead Jonny Greenwood che ha inserito anche i Can, Neil Young (con Harvest e Journey thru the Past), Sam Cooke, Cliff Adams e tanti altri.