Il punto di partenza è un libro di appunti di grande forza evocativa, che, a più di settant’anni di distanza dai fatti narrati, conserva intatta la sua attualità. Si tratta di Naples ’44 (Adelphi) di Norman Lewis, scritto a partire dalla sua esperienza di ufficiale inglese di stanza a Napoli come ufficiale dell’intelligence alleato, dopo che la Quinta Armata Americana era entrata in una città distrutta dagli anni di guerra e dall’occupazione tedesca. Colpito dal magma sociale di Napoli, Lewis appuntò ogni dettaglio della sua esperienza in taccuini che diventeranno libro e, ora film, grazie alla lucidità di Francesco Patierno con il suo Naples ’44, appunto. Il visionario documentario immagina l’ufficiale inglese tornare oggi nella città che lo accolse e lo sorprese per una sorta di nostalgico viaggio nel tempo. Il suo sguardo vaga nelle strade strette e nei vicoli, si affaccia sul lungomare, si sofferma davanti ai portoni, sovrapponendo immagini antiche, a racconti di un tempo che sembra essersi fermato. Di fatto Patierno realizza due film in uno, sovrapponendoli, poi, con grande maestria perché, se da un lato vediamo scene straordinarie tratte da materiali d’archivio (raccolti e scoperti nelle cineteche di tutto il mondo), che ritraggono Napoli e i napoletani nei giorni bui dell’immediato dopoguerra, dall’altro ascoltiamo le parole dell’autore e seguiamo i suoi racconti appassionati e accorati, come di chi si trova a guardare dall’esterno una realtà che non gli appartiene ma a cui sente di appartenere. Ecco, così, che ci sembra davvero di vedere le ragazzine cieche entrare in un ristorante, o le due statue di san Sebastiano e di San Gennaro chiamate in causa a proteggere il paese dall’eruzione del Vesuvio, e intanto scorrono immagini chiarissime di bambini ricoperti di polvere e fuliggine e smarriti in un contesto che ha perso i contorni noti. Colpisce il racconto dello sbarco alleato a Salerno, la carneficina che nessun film ha mai raccontato, e poi lo stupore di scoprire i templi di Paestum.
Il bello di questo film è che nessuna delle due linee narrative prevarica sull’altra. O meglio, prevaricano entrambe nel loro essere ugualmente il centro del racconto, senza necessità di equilibrio, dal momento che la materia trattata è tanto incandescente. Una storia esemplare fatta di innumerevoli storie, passate sotto la sensibilità di un testimone curioso e colto, viaggiatore attento e umanissimo, capace di vedere ciò che resta in ombra di un popolo dalle molte qualità e sfaccettature, in grado di rinascere sempre, senza perdere la malinconia sottile dell’espressione. Si pensa a Rossellini mentre mostra all’obiettivo di un cinegiornale la via di Roma che si riempì di soldati americani il giorno in cui la capitale venne liberata dalle forze alleate, ci si immagina i suoni di allora, il brusio misto al clamore delle voci. Anche il cinema viene in soccorso regalandoci sequenze di preziosa ricchezza, tanto più forti in quanto riescono ad aderire al contesto di immagini celibi e slabbrate, che da pura documentazione si trasformano in racconto. Totò, Marcello Mastroianni, il miracolo di San Gennaro, le smorfie per far sorridere, gli stratagemmi per sopravvivere, gli equilibri completamente saltati tra bene e male, mentre nei bassi la camorra spadroneggia incontrastata, le ragazze si danno alla prostituzione e le bombe tedesche continuano a fare stragi a tempo ritardato, ingannando ancora una volta tutti. Commozione ed empatia sono i sentimenti principali, oltre alla sorpresa di scoprire quanto attuale sia un film di questo tipo oggi, che dice della guerra ciò che solo le immagini rubate riescono a evidenziare. “Napoli – spiega Patierno – è uno specchio di quello che accade oggi ad Aleppo, e non solo”.