La realtà surreale di A tutto c’è rimedio di Helen Phillips

Dalla produzione di Raymond Carver ad antologie come le Dangerous Visions curate da Harlan Ellison il racconto breve, pur non godendo della stessa fortuna commerciale del romanzo, è una forma di letteratura complessa e ricca di potenzialità espressive, in grado di valorizzare le idee particolarmente brillanti e di compensare il ritmo non particolarmente serrato di alcuni scrittori. A tutto c’è rimedio, (Safarà Editore, pag.200, euro 16,50) seconda pubblicazione italiana di Helen Phillips, ne è l’esempio perfetto. La raccolta riprende diversi aspetti del suo precedente romanzo, La bella burocrate, declinandoli secondo gli stilemi e le peculiarità della short story. I racconti, che solo a una prima, superficiale lettura si possono considerare assimilabili a Black Mirror, condividono con la genialità di alcune idee, ma la cifra è quella del realismo magico dell’autrice newyorchese, con quel suo modo molto personale di far entrare il surreale nella realtà quotidiana in punta di penna, integrandolo con delicatezza e senza mai sottolineare con troppa forza la scollatura del reale.
Pur non mancando di lucidità, la critica che Helen Phillips porta alla società è intrisa di un’umanità profonda che, pur senza scadere in sentimentalismi facili, dà corpo alla sfera dei sentimenti esprimendola con una finezza che non rinuncia alla forza espressiva. A tutto c’è rimedio porta avanti un’idea di letteratura che è sì stile ma non in quanto virtuosismo fine a sé stesso quanto, piuttosto, strumento spartano e misurato a servizio della narrazione, che nel racconto breve trova una dimensione ottimale guadagnando molto in scorrevolezza pur senza perdere i tempi narrativi niente affatto rapidi che caratterizzano la penna dell’autrice, necessari ad assimilare le sfumature di una scrittura densa ed elegante.