Speedracer

Omaggio a Masami Suda – L’entusiasmo della sperimentazione in 50 anni di carriera

Per ricordare il maestro dell’animazione Masami Suda, scomparso a 77 anni, riproponiamo il resoconto del suo incontro tenutosi al BGeek di Bari nel 2018.

 

Fra gli esponenti della generazione che ha stabilito i canoni della moderna animazione seriale giapponese, Masami Suda occupa un posto di primo piano. Pochi artisti possono infatti vantare un bagaglio di esperienze tanto lungo e diversificato: cinquant’anni di carriera, molte produzioni all’attivo, e un gusto per la ricerca che lo ha portato a variare ruoli e stili in modo vivace e completo. Che fosse animatore delle sequenze chiave (in giapponese doga), supervisore all’animazione (sakkan), intercalatore (genga) o creatore grafico dei personaggi (character design), Suda ha sempre apportato alle opere cui lavorava la serietà di un metodo di lavoro caratterizzato da grande attenzione ai dettagli e l’estro di un talento versatile. Formatosi con uno stile che prediligeva il realismo grafico, si è cimentato anche con generi più lievi come l’umoristico o più liberi e aperti alla sperimentazione visionaria come il romance. Dagli esordi presso il celebre Studio Tatsunoko, fra i più versatili e inventivi nella resa espressiva dei colori abbinata alla plasticità delle figure, fino alle serie Toei, dove il tratto si fa più corposo e le tinteggiature assumono una qualità più pittorica, la sua carriera comprende opere celeberrime come Superauto Mach 5/Speed Racer (1967), Il mago pancione Etcì e Judo Boy (entrambi del 1969), Gatchaman/La battaglia dei pianeti (1972), Tekkaman (1975),  Forza Sugar (1980), i film di Dr. Slump e Arale negli anni Ottanta, fino ai più recenti Slam Dunk (1995), Yu-gi Oh (1998) e Alexander (1999). L’opera cui il suo nome resta più legato è comunque Ken il guerriero (1984), autentico spartiacque per l’azzardata fusione dei generi (postatomico, arti marziali e saga familiare con tratti da autentica soap), caratterizzata da uno stile visivo forte, tanto netto e particolareggiato nella resa delle figure, quanto visionario nei giochi lirici delle deformazioni dei corpi straziati dalle tecniche assassine dei combattenti. Oggi, a 74 anni portati con grande carisma e spensieratezza, Suda è un artista affermato e un uomo disponibile, che si gode il meritato trionfo presso i suoi fan, viaggiando in varie convention in giro per il mondo. Ospite a Bari del BGeek, l’artista ha ripercorso la sua carriera in un incontro pubblico moderato da Paolo Pugliese con l’ausilio del traduttore Edoardo Serino, hanno alternato i loro interventi con quelli del pubblico.

 

Ken il guerriero

 

Ha iniziato a lavorare nel mondo dell’animazione verso la seconda metà degli anni Sessanta, presso la Tatsunoko Production di Tatsuo Yoshida. Cosa ricorda di quel periodo caratterizzato da grande sperimentazione nei generi e al tempo stesso forte realismo grafico?

Negli anni Sessanta, quando ho iniziato a lavorare alla Tatsunoko, ero molto giovane e affrontavo il lavoro con entusiasmo e divertimento. Ricordo con piacere le prime esperienze su opere come Il mago pancione Etcì, Judo Boy e, mi fa piacere aggiungerlo visto che siamo in Italia, anche Le nuove avventure di Pinocchio. La mole di lavoro era enorme, ho passato tante notti in bianco al punto che, arrivato ai trent’anni, la salute ha iniziato a risentirne. Così mi sono sottoposto a delle visite mediche e il dottore ha usato con me la classica frase che poi si sente nella serie di Ken il guerriero: “tu sei già morto!”. Da quel momento ho alternato al lavoro anche molta attività sportiva e questo mi ha permesso di riprendere.

 

Ci racconti la sua giornata lavorativa, per farci capire meglio quei ritmi che l’hanno portata a un tale grado di stanchezza.

Ho lavorato per cinquant’anni come animatore free-lance: ai tempi della Tatsunoko, invece, ero ancora un dipendente e quindi dovevo osservare strettamente i tempi imposti dallo Studio. Poiché il lavoro mi appassionava, procedevo comunque senza sosta, disegnando soprattutto di notte. La mia giornata tipo iniziava alle nove di sera e proseguiva per quindici ore, fino al mezzogiorno successivo. Quindi andavo a dormire, per ricominciare nuovamente alle nove di sera. Negli anni della Tatsunoko svolgevo il mio lavoro sulle serie che portavo avanti praticamente da solo, alternandolo a periodi di riposo.

Fra il 1972 e il 1976, ha lavorato a tre serie divenute famose in tutte il mondo e anche di culto in Italia: Gatchaman/La battaglia dei pianeti, Hurricane Polymar e Tekkaman, che presentavano elementi occidentali (i costumi dei supereroi) uniti ad altri orientali, come la presenza degli alieni, la salvaguardia dell’ambiente, o il ruolo molto ampio della tecnologia. Cosa ci può raccontare di queste produzioni?

Nel Giappone dell’epoca, che era quello uscito dalla Seconda Guerra Mondiale, si volevano produrre dei modelli in grado di incoraggiare, far sognare e spingere i bambini verso obiettivi virtuosi. A questo scopo si inserivano nei prodotti di intrattenimento molti elementi provenienti dalle culture estere, e l’animazione ha svolto un ruolo fondamentale in tal senso. Personalmente non mi aspettavo tanto clamore dalle opere a cui lavoravo, e sono sorpreso dal fatto di essere qui in Italia a parlarne.

 

Nel 1984 lei cura la direzione dell’animazione e il character design di Ken il guerriero: quali sono state le difficoltà che ricorda nell’adattare per la televisione il popolarissimo manga di Buronson e Tetsuo Hara e i suoi personaggi già così ben definiti nell’immaginario del pubblico?

Il manga originale era molto ben caratterizzato dal punto di vista grafico, grazie allo stile particolareggiato e al tratteggio usato da Tetsuo Hara: la difficoltà maggiore, quindi, è stata proprio ricreare quel tipo di tratteggio. Riproporlo in animazione è stato un vero e proprio esperimento, che fortunatamente è riuscito nel suo scopo. Un altro elemento di difficoltà era dato dalla violenza della storia: il manga è caratterizzato da scene piene di sangue e pensavamo che questo ci avrebbe procurato dei reclami da parte delle associazioni che sorvegliano i prodotti televisivi. Così abbiamo stilizzato i disegni, rendendo il sangue attraverso degli effetti di luce. La cosa ha funzionato, non ci sono stati reclami e la serie ha avuto un grande successo. In Italia ci sono stati problemi?

 

No, anche qui la serie è stata amata particolarmente. Sono stati trasmessi tutti gli episodi, è arrivato poi anche il film cinematografico curato sempre da lei, e persino le più recenti trasposizioni sono state proposte nei cinema, che per il nostro paese è un evento abbastanza raro.

In Francia, ad esempio, la serie è stata bloccata dopo tre mesi dalla messa in onda e pensavo che anche l’Italia avesse reagito male. Invece no e ringrazio il pubblico italiano per questo.

 

Cosa ci può raccontare dell’animazione della serie? Come ha reso le caratteristiche mosse dell’arte marziale di Ken?

In realtà le scene in movimento erano più semplici da fare. È stato molto difficile, invece, disegnare i personaggi nelle pose statiche, perché in quei frangenti dovevano comunque continuare a trasmettere una sensazione di potenza, si doveva capire la loro forza. Abbiamo lavorato quindi sulle loro espressioni e forse ne avrete avuto paura, visto che li abbiamo resi molto truci.

 

Alla sua uscita, Ken il guerriero ha stravolto i canoni dell’animazione, proponendo un livello di dettagli e ombreggiature nei disegni mai visto prima. Come e perché si è arrivati a un’elaborazione così complessa e quanto è costato il risultato in termini di tempi e risorse?

È stato molto difficile portare avanti il lavoro proprio perché, data la complessità e l’elaborazione dei disegni, serviva uno staff molto ampio. Peraltro, tutti gli animatori che all’epoca lavoravano nel settore, volevano partecipare a questa serie che era percepita come molto importante. Quindi arrivavano costantemente tante offerte da parte di molti colleghi.

 

Ma questa scelta grafica è stata il frutto di un work in progress o al contrario era un risultato che si voleva ottenere fin dall’inizio?

Era una decisione presa a monte. Data la massiccia presenza di animatori, è stato comunque necessario molto lavoro per riuscire a coordinare lo staff in modo da mantenere una coerenza visiva fra i vari disegnatori, che naturalmente avevano stili molto diversi tra loro.

 

A proposito del realismo nello stile di disegno di Ken il guerriero, c’è stata una qualche ispirazione dal cinema dal vero? Sappiamo infatti che per disegnare il manga, Tetsuo Hara si è ispirato con forza alla saga di Mad Max (in particolare al secondo film, Interceptor: Il guerriero della strada).

Sì è vero, ma si tratta di un’ispirazione che ha riguardato esclusivamente il manga, noi siamo subentrati dopo e ci siamo concentrati solo sul riprodurre le tavole della versione cartacea, ignorando i riferimenti cinematografici.

 

Diversamente dal manga, comunque, la storia si interrompe in anticipo e non traspone l’ultima parte. Ci sa dire come mai?

È stato dovuto a ragioni produttive: il canale giapponese aveva stabilito un certo numero di puntate e risorse, raggiunte le quali il lavoro è stato interrotto.

 

Perché, secondo lei, nonostante la storia di Ken sia così cupa e quasi priva di speranza, piace così tanto? Quali sono gli aspetti che l’hanno resa così affascinante?

Forse perché fino a quel momento non c’erano state opere del genere: ha rappresentato un elemento di novità e rottura che è stato determinante per il suo successo. Come artista penso sia più bello e stimolante lavorare a qualcosa di difficile e innovativo, come è stato appunto Ken. Da questo punto di vista posso dire che mi sono quindi divertito molto a realizzarlo, ne sono particolarmente orgoglioso, e lo stesso vale per i miei colleghi: spero che sia piaciuto a voi nel seguirlo, quanto a noi nel farlo.

 

Ken il guerriero insegna anche a comprendere meglio il valore del Bene e del Male. Cosa ne pensa invece della più recente pentalogia dedicata al personaggio e inaugurata da Ken il guerriero: La leggenda di Hokuto?

Il progetto è una sorta di remake dell’originale, che resta il più famoso. Tutto molto bello, auspico anche nuove trasposizioni, ma naturalmente resto legato al Ken della serie anni Ottanta. Il fatto che la storia possa insegnare qualcosa sul Bene e sul Male è molto bello: per come la vedo io, nei combattimenti della serie gioca anche un ruolo fondamentale il tema dell’amore.

 

A proposito dell’evoluzione dell’animazione: cosa pensa del passaggio da personaggi forti e imponenti come quelli di Ken il guerriero ai protagonisti di serie più recenti, molto problematici e con uno stile di design più androgino, o vicino a categorie come il moe? Secondo lei oggi ci sarebbe lo spazio per realizzare una serie come quella di Ken?

Dagli anni Sessanta agli Ottanta l’animazione era realizzata sui fogli di acetato, nei Novanta invece è arrivato il computer con cui si può disegnare ogni cosa con grande precisione, ma in modo inevitabilmente diverso da quello dell’epoca. Quindi ogni stile è frutto di un’evoluzione. D’altra parte, l’arrivo del computer ha facilitato molti processi, è possibile intervenire sul disegno senza doverlo rifare daccapo. Quindi sicuramente Ken il guerriero si potrebbe fare anche oggi. Personalmente amerei lavorare di nuovo a una serie con i vecchi metodi.

Visto che abbiamo allargato il campo, ricordiamo che lei ha affrontato pure anime sportivi: fra le sue opere c’è ad esempio Slam Dunk, una serie di grande successo che ha contribuito a diffondere in Giappone il culto della pallacanestro. Quali difficoltà comporta questo genere e che tipo di lavoro è necessario per riprodurre i movimenti degli atleti in campo?

L’animazione dello sport è particolarmente difficile perché ti confronti direttamente con qualcosa che il pubblico conosce molto bene. Ad esempio tutti hanno visto una partita di basket e quindi sanno bene come si muovono i giocatori, per cui bisogna lavorare sui dettagli. Io non gioco a basket, e mi sono dovuto documentare con attenzione per ottenere il giusto risultato. Ho lavorato anche su altri tipi di sport: dato che siamo in Italia, dove il calcio è molto popolare, posso aggiungere che ho lavorato anche a una serie su questo sport. Non era il celebre Holly e Benji, bensì Giant Killing, del 2010 (per ironia della sorte inedita in Italia ndr). Ogni volta che si affronta una diversa disciplina dobbiamo documentarci con attenzione: oggi è più facile perché le fonti a disposizione sono tante, da YouTube ad altri video, ma in passato si partiva avendo a disposizione magari soltanto delle fotografie, e questo spesso comportava degli errori nella creazione di questo tipo di serie.

 

Per concludere, ci può dire qual è il progetto della sua carriera cui è più legato, e perché?

Fin dagli inizi ho lavorato su diverse opere, come Gatchaman, Judo Boy e poi sono arrivato a Ken il guerriero che era completamente diverso rispetto a qualsiasi cosa avessi mai fatto. Quattro anni fa ho lavorato a Yo-kai Watch, ispirata a un popolare videogame, che era ancora diversa dalle altre. Considerata la differenza tra tutte queste opere mi risulta difficile sceglierne una.

 

Nel campo dell’animazione ha comunque ricoperto quasi tutti i ruoli professionali: quale tra i tanti è il suo preferito?

Prima di Ken il guerriero svolgevo praticamente qualsiasi tipo di ruolo e così ho potuto conoscere tutti gli aspetti della lavorazione. Fra i tanti, quello che preferisco è comunque il genga, l’animatore delle sequenze chiave. È il fulcro di ogni serie, e per questo anche quello che mi ha dato le maggiori soddisfazioni.