Otello secondo Lo Cascio

Per il suo quarto spettacolo, Luigi Lo Cascio porta in scena l’Otello di Shakespeare. Sul palco solo quattro personaggi: Otello (Vincenzo Pirrotta), Iago (lo stesso Lo Cascio), Desdemona (Valentina Cenni) e un soldato (Giovanni Calcagno). Una riduzione che punta a sviscerare il cuore delle relazioni umane attraverso una lettura originale, a partire dalla lingua: Lo Cascio ha infatti riscritto il testo in endecasillabi, ricorrendo per la maggior parte del testo al dialetto siciliano, annullando la contrapposizione classica tra bianco e nero e azzardando una possibile chiave psicanalitica per fare luce sulla misoginia di Iago.

 

18_42_bso_f1_950_1_resize_597_334Da dove nasce questa tua personale versione dell’Otello?

Era tanto tempo che volevo lavorare su Shakespeare. Avevo interpretato Diceria dell’untore da Gesualdo Bufalino diretto da Vincenzo Pirrotta e alla fine ci siamo detti che ci sarebbe piaciuto invertire i ruoli. Ci siamo anche ricordati che avevamo fantasticato, quando avevamo 25-26 anni ed eravamo entrambi in compagnia con lo Stabile di Palermo, di fare, prima o poi, Otello insieme perché tra le opere di Shakespeare è quella in cui c’è un coprotagonismo assoluto di due parti maschili. Immaginavamo di scambiarci le parti di Otello e Iago come avevano fatto Gassman e Randone negli anni 50 e come dal Settecento si fa spesso in Inghilterra perché sono due parti ugualmente belle, importanti e con cui un attore, a un certo punto, ha piacere di misurarsi. E invece, riprendendo in mano la questione, Otello è stato utile per dare protagonismo proprio a Vincenzo, facendomi da parte, senza sottrarmi, ma togliendo a Iago il protagonismo che ha in Shakespeare. Visto che è un’opera nuova, diversa, ho messo dentro le mie convinzioni e un tentativo di lettura del testo. Tra gli aspetti portanti c’è il fatto di restituire a Otello il suo protagonismo dal punto di vista drammaturgico in quanto, spesso, le letture che si fanno sono condizionate dalla presenza ingombrante di Iago. È vero che è un regista in scena, un autore che va concependo i frammenti di testo che poco a poco si andranno formando e che lo sviluppo dell’azione è molto legato a lui, ma questa lettura, quasi implicitamente, ha deresponsabilizzato Otello e l’atto da lui compiuto. Otello sembra quasi comportarsi come uno sciocco, un grullo, un personaggio da commedia più che da tragedia, che viene preso in giro da un uomo che personifica il male. Tutti ci accorgiamo che è assurdo credere a quelle cose e l’unico a farlo è proprio Otello che è, comunque, un generale, un uomo in grado di parlare con i senatori a Venezia, di avere una sua capacità di seduzione su Desdemona, di avere rapporti diplomatici. Quindi come mai, improvvisamente, cade nella rete con prove peraltro abbastanza discutibili?

 

Nel tuo Otello la tragedia non solo inizia a cose fatte, ma hai inserito un personaggio che in Shakespeare non c’è, il soldato-narratore che letteralmente tira le fila del racconto…

L’idea era di fare una riduzione con pochi personaggi. Non avrei saputo fare tutto Otello, ed è difficile trovare mezzi per una compagnia di 15-18 attori. Quindi ho ridotto a Iago, Otello e Desdemona, ma non bastava. Ci voleva una cornice, altrimenti sarebbero state scene sparse, quindi è stata innanzitutto una scelta di ordine drammaturgico per costruire una struttura. Nel contempo questa introduzione mi ha permesso di reinventare alcuni aspetti, denunciando immediatamente le infrazioni, gli errori, i cambiamenti alla realtà dei fatti che non sono quelli storici, ma relativi al testo di partenza. Tutto in virtù di raggiungere una verità più radicale perché, come dice il soldato all’inizio, si stanno irrigidendo dei clichés, dei luoghi comuni su questa storia. Questo ha ovviamente a che fare con la mia proposta di lettura del testo. Otello, spesso, è visto non solo come un grullo, ma anche come il nero e quindi portatore del selvaggio, di qualcosa di bestiale, di ferino, di disumano. Se leviamo il nero, la provenienza diciamo altra, straniera, credo che è più facile leggerlo come la storia di un uomo – che estremizzando può essere chiunque di noi – toccato da una perdita di controllo totale e dalla conseguente traversata dall’amore a un odio micidiale. Impostata in termini così estremi, magari ognuno di noi può trovare aree di consonanza con certe idee che possiamo farci della questione amorosa.

desdemona

Va in questo senso la scelta di annullare la contrapposizione bianco-nero puntando invece sulla contrapposizione maschile-femminile?

A me interessa che un’opera ci parli, anche se da lontanto. E in tal senso Otello ha tantissimo da dirci non solo sul rapporto uomo-donna, ma anche sul bianco e il nero, sul rapporto tra apparenza e realtà. Si può farne una lettura di ordine filosofico o metateatrale (penso al fatto di rivolgersi al pubblico, di denunciare che le azioni nasceranno a partire da una concezione che avviene direttamente in scena, in un testo che si fa contemporaneamente all’ascolto degli spettatori)… Visto che la mia è per statuto una riduzione, mi sono chiesto qual è la cosa che in me, come lettore, è veramente ineliminabile, il cuore che non si può estrarre per non far crollare l’edificio. E mi sembra che questo testo, se uno riesce a scorgere ancora delle parentele con l’Otello di Shakespeare, mostri che il bianco e il nero si può anche togliere, ma il fatto che un uomo dal massimo di amore, in maniera repentina, si ritrova a odiare lo stesso oggetto amoroso fino a distruggerlo, questo non si può eliminare. Il discorso dell’uomo e della donna e di una certa concezione della donna che ha Otello, che ha Iago, è la questione più stringente e, per me, anche più interessante.

 

Le differenze di genere sono anche rappresentate dalla lingua. Desdemona parla in italiano, mentre Otello, Iago e il soldato si esprimono in siciliano.

Fin dall’inizio sapevo che volevo scrivere i dialoghi in versi, ma il siciliano non è stata una scelta programmatica, è venuta per gradi. Finora avevo sempre scritto in italiano, ma quando ho cominciato a tradurre – nel testo ci sono due blocchi di traduzioni di Shakespeare: i dialoghi Iago-Otello e quelli Otello-Desdemona che sono per lo più tratti da Shakespeare – in italiano non mi suonavano. Non essendo io uno scrittore, un poeta, non trovavo l’italiano adatto per restituire la complessità dell’originale. Invece con il siciliano mi è sembrato tutto molto più possibile, rimanendo sempre in una condizione di povertà rispetto alla complessità e alla grandiosità di una lingua così rapida, secca, poetica, metaforica come è quella di Shakespeare. Forse perché il siciliano è una lingua che sembra venire da lontano, è una lingua della tradizione, quindi a suo modo classica e dove la distanza con la lingua d’uso di adesso è minore, ma mi sono sentito maggiormente in sintonia. Inoltre, essendo anche un dialetto, mi ha permesso, senza perdere il registro lirico, di mantenere la possibilità di una lingua diretta, concreta, in grado di prendere le questioni in maniera immediata.

 

C’è un côté animalesco molto forte in tutti personaggi (e anche nelle immagini che scorrono in video ci sono insetti, animali…), non solo in Otello.

A me interessava indagare le ragioni molto umane che portano a un atto così estremo, invece di relegarlo nell’irrazionale, nel patologico, nel clinico. Un conto è individuare l’aspetto animalesco dal punto di vista metaforico, ma penso che la semplificazione del bestiale, riferita al solo Otello, metta in qualche modo a posto la coscienza e finisca per rasserenare le persone convinte che fino a che c’è la ragione il crimine non accade. Iago è quasi sempre spettatore di ciò che accade a Otello. Quando parla di sé viene presentato uno Iago a noi più contemporaneo, non è lo Iago che fa parte della storia scespiriana, ma è uno Iago in camicia bianca e cravatta, in quello che potrebbe essere un carcere novecentesco. Quindi quando parla, parVINCENZO PIRROTTA_LUIGI LOCASCIOla di sé con un atteggiamento che non è quello scespiriano, in cui il motivo dell’odio e del rancore viene lasciato nel mistero, ma tenta di analizzarsi e di proporre una forma di auto-analisi. Questa confessione viene fatta con strumenti più novecenteschi e va a individuare un trauma del suo passato che può avere condizionato la sua visione. Non è una spiegazione dell’odio di Iago perché l’odio verso Otello rimane anche qui misterioso, ma sicuramente della sua misoginia, del suo odio per il genere femminile

 

Nel finale c’è un riferimento esplicito all’Orlando furioso. Ma il tipo di atmosfera mi ha ricordato anche i personaggi e i dialoghi stralunati di La voce della luna.

Non avevo pensato a Fellini, ma un riferimento che ha agito implicitamente è Che cosa sono le nuvole di Pasolini. L’ho rivisto dopo aver scritto il testo e ho aggiunto delle connessioni più evidenti (nel finale «Ah straziante meravigliosa bellezza del firmamento» riprende «Meravigliosa e straziante bellezza del creato» di Pasolini). Chiaramente con le dovute differenze, ma anche in Pasolini c’era il desiderio di non chiudere sulla tragedia, addirittura in Che cosa sono le nuvole la tragedia non si compie, Desdemona viene salvata dal pubblico e le due marionette buttate nella discarica spalancano un orizzonte altro rispetto a quella inevitabile caduta nel fatto di dover compiere necessariamente l’atto criminale. Non solo non lo compiono, ma per loro è l’occasione di vedere qualcos’altro. Quindi se dovessi dire, è molto simile a ciò che ha spinto anche a me a volere chiudere con un sogno, con un’immagine per suggerire un’altra possibilità: non è detto che l’Otello di turno prima di compiere l’atto non possa essere visitato da un sogno che gli mostra un’alternativa al fatto di chiudere con il delitto inevitabile.

 

Al momento sei anche al cinema con Il nome del figlio di Francesca Archibugi. Un film che non è la semplice versione italiana del francese Cena tra amici uscito nel 2010, ma finisce per parlare della generazione dei cinquantenni e del loro rapporto conflittuale con i padri.

Penso che se Francesca Archibugi e Francesco Piccolo hanno scelto questa chiave è perché gli sta a cuore la questione del rapporto con i padri, la maturità, il passaggio all’età adulta perché potevano benissimo prendere la commedia, riportarla para para tanto è denunciato il fatto che sia un remake. Probabilmente la Archibugi non avrebbe accettato fino in fondo di fare questo film se non lo avesse sentito anche un po’ proprio e quindi se non fosse passata attraverso delle cose che a lei sembrano più interessanti e fanno sì che la commedia non scompaia, ma che sia radicata su qualcosa di più riconoscibile per noi italiani e più interessante dal punto di vista di un discorso più introspettivo. Sicuramente va nella direzione dell’approfondimento dei caratteri. E che la questione del padre sia fondamentale è abbastanza evidente per cui è Il nome del figlio, ma potrebbe anche essere Il nome del padre.

 

Sandro, il personaggio che interpretri, passa le giornate a twittare. Tu che rapporto hai con i social?

Non voglio parlare male di chi li usa (tra l’altro c’è una mia fan page su Twitter, fatta da una mia ammiratrice quindi è anche bello per me), però io non sento nessuna necessità né di Facebook né di Twitter. Capisco che possa essere utile se una persona va a vivere in Australia, di colpo cambia ambiente, non vuole perdere le amicizie e quindi è un modo per rimanere in contatto, ma per me sarebbe una sovrapposizione a quello che già c’è di qualcosa di altro e di più generico. Pubblicare le foto delle mie vacanze… Io già mi vergogno, eventualmente a farle vedere a 2-3 amici che vengono a casa. Addirittura scaraventarle così… E poi c’è la questione tempo. Non ce l’avrei per seguire il mio profilo, credo diventi un vero e proprio impegno. Per quanto riguarda Twitter non ho il carattere adatto per sentire dentro di me né la necessità né l’impudicizia, potrei dire, di pensare che un mio pensiero possa interessare gli altri. Per me lo spazio dell’amicizia, della relazione con gli altri è qualche cosa di un po’ più personale, non così sfacciatamente corale e raramente penso che il mio pensiero è qualche cosa che vada comunicato di per sé e senza un tentativo invece di nascondimento, di ridimensionamento della portata delle opinioni che posso avere sulle cose.

 

 

La tournée di Otello

4-5 febbraio                 Teatro Municipale Casale Monferrato (AL)

7-8 febbraio                 Teatro Verdi Pisa

9 febbraio                    Teatro Asioli Correggio (RE)

11-15 febbraio             Teatro Rossetti Trieste

18-22 febbraio             Teatro Sociale Brescia

24 febbraio                  UCC Teatro di Varese

26 febbraio-1 marzo  Teatro Metastasio (Prato)

3 marzo                        Teatro Guglielmi Massa

7 marzo                        Teatro Politeama Bra (CN)

9 marzo                        Teatro Toselli Cuneo

11 marzo                      Teatro Superga Nichelino (TO)

17-29 marzo                 Teatro Quirino Roma