Temere il mondo: The Nest, il gotico di Roberto De Feo su RaiPlay

Se il “luogo comune” è la matrice di ogni film gotico che si rispetti, The Nest (Il Nido) di Roberto De Feo sa come farsi rispettare. Presentato a Locarno 72 in Piazza Grande e titolo di punta del Ferragosto horror nelle nostre sale, questo notevole esordio italiano corrisponde perfettamente alle dinamiche del genere in cui si piazza con buona memoria storica – e non senza un certo senso del presente (di cui purtroppo è difficile render conto adeguatamente, senza incorrere nel peccato capitale dello spoiler…). Le matrici visive dichiarate sono l’Amenàbar di The Others e lo Shyamalan di The Village, il che induce a riflettere sul rapporto tra l’interno e l’esterno della narrazione in atto, governata dall’autore attraverso il gioco ossessivo e coercitivo imposto dai personaggi. Ma poi il film vibra anche della pulsione concentrazionaria del gotico classico (Freda, Bava, ecc.), che si incarna nel tempo sospeso della grande tenuta sabauda tra le cui mura si svolge l’intera vicenda, ambientata su un presente (suggerito da pochi elementi) articolato in un astratto passato. Il senso esclusivo, che è la molla narrativa e emotiva del gotico, ovvero quell’ossessione di separatezza dei personaggi, che vivono fuori dal mondo e escludono dal loro perimetro gli estranei, si incarna nella figura di Elena. E’ lei a governare il gioco, padrona della magione e despota di quel microcosmo di cui detiene le chiavi: la villa circondata da un grande parco, chiuso dalle mura e controllato da portone in legno, custodito da due guardiani poco raccomandabili. Il mondo di fuori è escluso, chi non appartiene a quella ristretta cerchia familiare è una minaccia. Tutto ruota attorno alla salvezza del piccolo Samuel, il figlio di Elena, ragazzino fragile e sottomesso, costretto su una sedia a rotelle. A garantirla c’è un inquietante medico, un bonario guardaboschi, qualche materna figura di servizio, un sacerdote che nottetempo compie riti sacrificali assieme a Elena e agli altri. L’equilibrio è rotto dall’arrivo di Denise, ragazzina che conosce il mondo esterno e diventa subito il punto di fuga delle attenzioni di Samuel, la crepa nella solidità delle mura erette da Elena attorno al suo mondo…

 

Roberto De Feo (due apprezzati corti e il Biennale College alle spalle) governa con precisione visiva e figurativa questo universo, in cui il senso di oppressione crea la tensione di un mistero che ambisce alla via di fuga e si ritrova costretto negli schemi classici del genere. De Feo è capace di governare l’esatta corrispondenza tra le ossessioni dei vari personaggi, lo spazio in cui si cristallizzano le pulsioni di cattività e di fuga, la definizione di un ambiente scenografico funzionale al chiaroscuro che bagna gli eventi, il rapporto normativo tra il dentro e il fuori, il perimetro e l’altrove… Ma poi è anche capace di far funzionare senza eccessivi ammiccamenti il gioco tra le attese e le sorprese che il testo istaura con lo spettatore, con le sue consapevolezze, con la memoria a breve e lungo termine. Sicché la metafora delle mura di contenimento, che ha una indiretta valenza attuale rispetto alle paure diffuse come un virus nel mondo contemporaneo, diventa la traccia di una apertura del film a un finale che rivela ulteriori categorie orrorifiche, in cui si incarnano le semoventi paure di vita e di morte diffuse nella contemporaneità. Al di là di questo, The Nest mostra anche un notevole controllo dei ritmi, delle pulsazioni narrative, trovando il giusto tempo nell’esecuzione del classico come del moderno, un po’ come Samuel che impara a trovare sui tasti del suo piano sia Bach che i Pixies (bella idea che pare molto in linea con la colonna sonora firmata da Teho Teardo). De Feo ha un invidiabile controllo dello spazio scenico, dei cromatismi e della luce, della mobilità dell’inquadratura. Qua e là si rinvengono degli eccessi di sceneggiatura, qualche personaggio di contorno non trova la giusta definizione, ma il film resta come un prodotto incoraggiante: non è comune trovare oggi in un regista esordiente un simile equilibrio tra tradizione e modernità e una tale capacità di tenere il tono in una narrazione del genere.