C’è il dispositivo del desiderio e quello dell’altrove, chiavi di accesso a un groviglio di realtà sociale piuttosto marcio che però Amat Escalante rappresenta sempre in una dimensione diafana, quasi indifferente, salvo poi perturbarla con sacche di violenza, mistero, tradimento. La región salvaje è un film perfettamente conseguente al cinema sinora sviluppato da questo ambiguo regista messicano, non facile da amare, sempre un po’ spiazzante ma nella maniera sbagliata, perché non induce in confidenza… Non fa eccezione nemmeno questo suo nuovo lavoro, che innesta nella scansione realistica degli scenari popolari messicani un perturbante fantascientifico preso di peso (per quanto il regista non lo citi nemmeno di striscio nelle note d’intenzione) dallo Zulawski di Possession, senza tuttavia riprodurne la bipolarità, ma affidandosi piuttosto a un malinteso senso di mistero che rischia il grottesco. La creatura tentacolare che, come uscita dalle visioni di HR Giger, si insinua nella realtà della provincia messicana, facendo esplodere nella passione e nel desiderio l’istinto di una libertà esistenziale e psicologica prima ignota ai protagonisti, è l’incombenza aliena che ridefinisce lo scenario sociale di un mondo oppresso nella sua insensibilità. Diffuso come un virus da una ragazza che incarna l’emancipazione nella sua immagine da centauro su due ruote, il desiderio sessuale portato nel mondo dall’essere alieno, che vive nascosto in un capanno custodito da uno scienziato, cade nelle vite di Fabian e Alejandra, fratello e sorella: lui infermiere nell’ospedale locale, single e gay; lei sposata, operaia nella pasticceria della suocera, madre di due figli avuti da un marito che la tradisce segretamente con il cognato. Escalante costruisce un ordito che produce, come sempre, il versante sociale realistico per lasciarlo perturbare da una tensione che dischiude la libertà più intima dei personaggi, dunque l’innata violenza dell’indole umana, qui declinata però in un principio vitale che si incarna nel desiderio sessuale, nel bisogno di un piacere che attragga la materia e rivesta l’insensatezza dell’esistere. Il film è percorso da una visionarietà più raffigurativa che emotiva, si concentra su un disegno concettuale che risulta un po’ banale nella sua equivocità posata. Non si raggiunge mai il fulcro dell’idea e lo sviluppo degli eventi appare irrilevante nella scarsa capacità del regista di liberare davvero l’istinto del suo film.