Sognare è vivere è il primo vero film da regista di Natalie Portman, che firma anche la sceneggiatura e ne è la protagonista. Si tratta di una doppia storia d’amore. Forse anche più che doppia. Sognare è vivere è una doppia storia d’amore perché racconta una famiglia, soprattutto il legame tra una madre e un figlio. Una famiglia in Israele, nel 1947/48. Natalie Portman l’ha girata perché si è innamorata del romanzo Una storia d’amore e di tenebra di Amos Oz (Feltrinelli), racconto autobiografico in cui lo scrittore torna bambino e racconta il padre, la madre, se stesso, nella loro casa, nel loro Paese che stava per nascere (14 maggio 1948, dopo la risoluzione ONU del 29 novembre 1947 che decreteva la nascita di due stati in Palestina, uno ebraico e l’altro arabo). Natalie Portman è nata a Gerusalemme, i primi anni li ha passati in un kibbutz. Poi il mondo, l’Europa, il cinema: da Leon di Luc Besson, quando aveva 12 anni, fino a Hollywood. A casa, in Israele, ci era tornata per girare da co-protagonista, al fianco di Hana Laslo e Carmen Maura, Free Zone di Amos Gitai.
Per Sognare è vivere si è trasferita a vivere per molti mesi a Gerusalemme e Tel Aviv. Sullo schermo, suo marito è interpretato da Gilad Kahana, il figlio da Amir Tessler: nomi che hanno già scritta in se stessi l’origine ebraica/israeliana. Il protagonista di Sognare è vivere è Amos (Oz, lo scrittore) a 10 anni, il padre si chiama Arieh e la madre (la stessa Natalie Portman) Fania. C’è il matrimonio non più felice, e il ragazzino che cresce nel corso del film. È la sua voce “da anziano” che, all’inizio, torna indietro e racconta i fatti privati e pubblici di 60 anni prima, partendo dal 1945. Natalie Portman, ha messo più volte mano alla sceneggiatura e della genesi del film dice: “Ho letto il libro, me ne sono innamorata, ho subito voluto farci il film. Ma ho dovuto aspettare anni e avere molta pazienza. È commovente, meravigliosamente scritto. Inoltre molte delle vicende mi appartengono, le perecepisco come molto vicine. Ho sentito tante storie sui miei nonni, sui loro rapporti coi libri, sulla loro passione per la cultura e le lingue, per l’Europa e Israele. Quando ho incontrato Amos Oz, mi ha detto che il successo del libro l’aveva stupito. È vero che è una storia molto israeliana, ma è anche una storia di emigrazione, che parla a tutte le culture. La cosa meravigliosa che Amos ha fatto è stata trasmettere l’amore, la compassione e l’empatia nei confronti delle persone che hanno fatto parte della sua vita”.