Sceneggiato da Ian McEwan e tratto da un suo stesso romanzo del 2014, Il verdetto – The Children Act (da qui in avanti solo Il verdetto) racconta il delicato momento decisionale del giudice Fiona Maye alle prese con il dubbio di imporre a un ragazzo, profondamente avverso alle pratiche mediche, una trasfusione di sangue che gli salverebbe la vita.Il verdetto del titolo, quindi, è facilmente riscontrabile nella scelta etica e professionale che la protagonista, interpretata da una splendida Emma Thompson, sarà costretta a prendere. Eppure, il film di Richard Eyre non si basa esclusivamente su questo frangente ma cerca di provocare lo spettatore mettendolo di fronte a infiniti dilemmi, infiniti bivi sui quali interrogare il proprio sguardo. Non è un caso allora che la crisi matrimoniale tra il giudice e suo marito (Stanley Tucci) si basi su posizioni opposte ma condivisibili, così come la scelta radicale di Adam e della sua famiglia e (prima ancora) le imposizioni dei dogmi religiosi.
Eyre fa un passo indietro rispetto la storia che racconta e lascia che sia l’occhio del pubblico a prendere posizione. Sospendere il giudizio, in casi come questo ma soprattutto in anni come quelli che stiamo vivendo, è l’unica provocazione possibile per sfidare l’onniscienza generale che si annida dietro gli schermi dei telefonini e riempie di (pre)giudizi le bacheche dei maggiori social network. Giudicare e prendere posizione non è mai semplice. Incolpare un qualche fato avverso o una divinità è la reazione più naturale e umana che si possa immaginare, ma ipotizzando che per una volta siamo noi a vestire i panni del supremo arbitro di ogni cosa, saremmo in grado di sostenere una simile pressione? Il giudice protagonista del film nient’altro è che il simbolo del Giudice per eccellenza, colui che dall’alto osserva, pensa e sentenzia. NeIl verdetto sono numerose le inquadrature a plongée opprimenti, soffocanti e onniscienti: sono le soggettive dell’Arbitro, un invito a mettersi nei suoi panni e a prendere posizione. Qui risiede la prova più matura di un progetto cinematografico sicuramente non privo di difetti e di lacune, ma in grado di fare di necessità virtù lasciandosi giudicare per innestare un circolo vizioso senza fine con lo spettatore.