Probabilmente l’eredità del western oggi sta nella ricerca di un’aura mistica, in cui l’uomo e l’essenza selvaggia della natura trovano un accordo, sia pure sempre traballante e in eterna trasformazione. Questo si evince da un film come The Rider, opera seconda della regista di origine cinese Chloé Zhao (presentato alla Quinzaine des Rèalisateurs a Cannes 2017 ), che ha conosciuto la riserva indiana di Pine Ridge grazie al suo precedente Songs My Brothers Taught Me (2013). Ma, se in quello il suo sguardo si concentrava nel costruire un ritratto della vita quotidiana nella riserva attraverso la storia di fratello e sorella, qui si parte da un gruppo di cowboy Lakota cui affida la loro stessa storia da interpretare. Brady Jandreau, suo padre, sua sorella e gli amici, hanno tutti la carnagione chiara, ma sono nati in quella riserva, davanti ai tramonti infuocati e a praterie, dove cavalcare all’infinito. Indossano cappelli piumati e sono Oglala Lakota Sioux e cowboy da rodeo al tempo stesso, in un’apparente contraddizione che, però, non vuole essere il centro del discorso di Zhao. Non deve essere stato difficile, quindi, per il giovane Jandreau, una presenza scenica di grande forza) vestire i panni di un addestratore di cavalli, che ha immaginato la sua vita trionfare, gara dopo gara, negli otto secondi in sella ad un cavallo selvaggio. Invece, un incidente lo costringe a smettere e a fare i conti con la propria identità, o meglio, con quella che ha ereditato da un immaginario western ormai in “disuso” e con la consapevolezza profonda di sé che affiora con grande determinazione, come una fotografia in camera oscura.
L’inizio è laconico. Brady torna alla roulotte, dove vive con il padre e la sorella Lily (affetta di sindrome di Asperger) con una ferita alla testa e una mano che non vuole funzionare. Zhao cerca il suo punto di vista, lo segue in lunghi primi piani, lo interroga in silenzio mentre ne asseconda l’inquietudine. Il ritmo è quello del fluire del tempo, scandito dai tentativi del giovane di riprendere la vita di sempre. Ma qualcosa è accaduto ed è impossibile far finta di niente. Si deve ricostruire un presente a partire dal proprio passato, ma anche prendendone le distanze. Il fatto è, però, che tutt’intorno, le cose sono rimaste le stesse di sempre e bisogna osservarle con un diverso sguardo per trovare la via. Questo il viaggio tutto interiore del rider Brady, che perde uno dopo l’altro i suoi cavalli, fa lunghe conversazioni con la sorella e va spesso a trovare l’amico divenuto paraplegico in seguito, anche lui, ad un grave incidente a cavallo. Insieme guardano i rodei su youtube alimentando il mito western che li ha travolti e che ora hanno riscritto a modo loro. L’America vista a partire dai luoghi del mito western, che ora, a guardare da vicino, sembrano sospesi un un esilio politico e sociale pieno di malinconia, che confonde la memoria e falsa il senso stesso di nostalgia.