In tempi di isolamento si è inclini a compilare bilanci, stendere ragionamenti e contabilizzare vittorie e sconfitte. È questa una delle operazioni che Giandomenico Curi sembra avere compiuto con il breve documentario Working Class Heroes – Camminando e cantando la canzone del primo maggio, visibile online e gratuitamente su arcoiris.tv. Il lavoro di Curi è nato anche grazie alla essenziale collaborazione dell’AAMOD (Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico), che, ancora una volta, si conferma come archivio prezioso e insostituibile di immagini per gli storici, i ricercatori e gli appassionati in genere. Un archivio, peraltro, che, proprio in questa prospettiva, supera ogni appartenenza politica, per diventare esclusivamente depositario di una memoria sociale, del lavoro e quindi patrimonio culturale universale. Proprio in questo senso è doveroso difenderlo poiché rappresenta un pezzo di valore della nostra cultura e che si trova, come altre istituzioni in verità, in perenne difficoltà a causa di norme sempre più riduttive dei finanziamenti che servono a farlo vivere. Leggi che da qualunque schieramento appaiono sempre del tutto incongrue rispetto alla univoca declamazione dell’utilità della cultura e delle radici culturali del nostro Paese. Ma quasi sempre alle enunciazioni ad effetto seguono atti del tutto dissonanti con quelle parole. (In apertura Portella della Ginestra, Primo maggio 1947 © Archivio storico CGIL nazionale).
Ma nonostante tutto questo, l’AAMOD continua a conservare immagini e memorie e la loro diffusione, comunque, diventa sempre un’emozione poiché è un modo per sfogliare la storia e sentire il fremere di quel passato nel nostro presente. L’occasione ultima è proprio questo breve film di Giandomenico Curi Working Class Heroes – Camminando e cantando la canzone del primo maggio, che diventa una bella riflessione sul lavoro e sul ruolo degli operai tra cinema, musica e testi letterari. Il film parte chiedendosi che fine abbiano fatto gli operai nel cinema, proprio quello stesso cinema che con i fratelli Lumière ha mosso i suoi primi passi trasformando i dipendenti delle proprie officine in attori e attrici, prima e dopo in spettatori. Ecco, gli operai che sono stati protagonisti alla nascita del cinema e per altre successive stagioni, ora attendono – risponde Curi- che i film si occupino di nuovo di loro, ora che le nostre società sono strette dalla crisi e le questioni del lavoro sono tornate prepotentemente al centro del dibattito.
Working Class Heroes, appartiene a quel cinema militante, ma ragionato, che sa distinguere e riflettere e che, al contempo, sa anche farsi catalogo, altrettanto ragionato, di una stagione in cui le lotte operaie e la musica hanno saputo camminare l’uno accanto all’altra riportando le istanze degli operai e degli studenti, di due categorie sociali che a partire dal primissimo secondo dopoguerra e fino agli anni ’90 hanno spesso incrociato esperienze e metodi di lotta politica, trovandosi a volte sullo stesso fronte, ma in alcuni con posizioni diverse. In mezzo ci stanno la musica e il cinema che hanno accompagnato con le note e le immagini le battaglie di strada del ’68 o gli autunni caldi italiani o in altri luoghi del pianeta. Quella musica e quel cinema che hanno saputo farsi, senza perdere il valore artistico intrinseco, strumento di contestazione e con i musicisti, i registi e gli scrittori, pratiche di opposizione e antagonismo, riuscendo a fare diventare mitico il legame tra quelle espressioni d’arte e il lavoro, liberando i desideri e restituendo spazio ai diritti dei lavoratori. È quello che è stato veicolato dalla musica nella stagione di Woodstock, ad esempio, o per le strade con le immagini degli autori che hanno raccontato la rivolta e le sue ragioni. Al centro di questa congerie di fatti ed elementi che hanno accompagnato il progredire delle condizioni sociali, ci stava e ancora oggi c’è, il lavoro. Quello stesso lavoro che diventa il protagonista del film accompagnato dall’agile montaggio delle immagini e dai testi che ci fanno attraversare quasi cinquant’anni di storia, anche del cinema. Quel lavoro che oggi è così difficile perfino da praticare per chi ce l’ha, figuriamoci per chi non ce l’ha. Ecco perché all’inizio di questa breve riflessione si è parlato di consuntivi e di catalogazione, perché è questo che fa Curi che seppure con il difetto di una sintesi fin troppo stringata dei fatti e delle emozioni che hanno caratterizzato quelle storie – perché anche di questo si tratta – ha sicuramente il pregio indubbio di costituire un ottimo punto di partenza per lavorare in profondità sui legami solidi tra queste espressioni artistiche e il mondo del lavoro, nel rispetto delle complessità che spesso proprio in quelle mediazioni trovano perfetta sintesi. Ben venga quindi una riflessione su lavoro e cinema e musica, da Loach a Littin, da Petri a Gregoretti e da John Lennon a Enzo Jannacci, ma chi avrà pazienza di leggere i titoli di coda avrà di che gioire per i nomi di chi ha contribuito con la propria arte a restituire dignità al lavoro e alla sua festa del 1° maggio.