«All art, in a way, is the creation of illusion»
Con questa citazione si apre In Search of Greatness, l’ultimo documentario di Gabe Polsky che è idealmente il tassello complementare del suo precedente lavoro, Red Army (2014). Lì si andava a ricostruire una storia sportiva che aveva dell’incredibile ma, soprattutto, del cinematografico (i destini incrociati della nazionale di hockey sovietica e il percorso storico/politico della sua nazione), qui invece si prova a indagare un tema, costruire una tesi partendo proprio dalla decostruzione della cronaca. Lontano dall’appassionare il pubblico con storie e aneddoti in stile Buffa o una ricostruzione spettacolare e adrenalinica come invece recentemente visto nella serie The Last Dance incentrata sulla figura di Michael Jordan e i suoi leggendari Bulls, In Search of Greatness è un film più contemplativo, filosofico e per questo affascinante. Attraverso le testimonianze di alcuni esponenti di prim’ordine come Pelè, Jerry Rice o Wayne Gretzky, Polsky è interessato a far emergere dai suoi ospiti non i ricordi di determinate vittorie, ma le loro opinioni sul perché siano riusciti a diventare delle figure sportive di fama internazionale. Da dove nasce l’estro? Quanto la statistica può aiutare una prestazione agonistica? Dov’è e soprattutto cos’è il quid che un fenomeno deve possedere per diventare tale? Lo sport viene paragonato all’arte. In maniera esplicita questo confronto prende forma lungo la narrazione. Proprio come l’artista, il campione deve ammaliare le folle, ispirarle, tenerle in pugno col fiato sospeso e farle emozionare. Dagli spalti, noi comuni mortali, siamo affamati di meraviglia. Vogliamo godere di uno spettacolo unico, rimanere colpiti dalla potenza di un gesto atletico e scervellarci in eterno su come sia stato possibile che un altro essere umano alla nostra portata sia riuscito in qualcosa di incomprensibile.
Eppure, proprio come ricordato in apertura, l’arte non è altro che la creazione di un’illusione. Il cinema, la musica, lo sport sono solo fantomatici servitori del mondo dell’intrattenimento. Illudersi che potremo raggiungere le vette di alcuni mostri sacri, rientra perfettamente nel gioco dell’esistenza: andare avanti, un nuovo ostacolo, un nuovo tassello, un nuovo obiettivo. Così come loro, i veri fenomeni, non sono mai soddisfatti né tanto meno si illudono di essere superiori o migliori di noialtri. Gabe Polsky avvicina le cineprese ai volti degli sportivi per smascherarli, per far crollare la magia e mostrare la loro piena, totale e comune umanità. La grandezza citata nel titolo non esiste, è qualcosa di illusorio appunto, qualcosa che noialtri siamo soliti attribuire a chi ce l’ha fatta mentre chi ce l’ha fatta è solito rivedere nell’insensato fascino che questi riescono a innescare negli occhi di chi guarda. Lo sport è la fucina di storie più appassionanti e genuine che la natura umana possa concepire. Lo sport è magia allo stato puro. Lo sport è l’esito di un incrocio perfetto tra volontà, prestazione fisica, fortuna e talento. Lo sport è geniale, la passione dei tifosi invece completamente irrazionale e sregolata. Affinché il numero di magia riesca, affinché l’illusione trovi compimento e si trasformi in arte, ci vuole il genio ma anche la sregolatezza.