ShorTS 2020 – Il manifesto pessimismo di La viajante di Miguel A. Mejias

Angela ha perso la madre e i suoi ricordi si affastellano e sembrano confondersi con il presente. Un viaggio nel deserto, senza una vera meta, costituisce, forse, l’occasione per aprirsi ad una nuova vita. Con la vecchia telecamera della madre Angela riprende gli insetti e durante il viaggio, gli incontri che farà potrebbero portarla a quella desiderata nuova esistenza che cerca. C’è qualcosa di eternamente spento nel mondo di Angela, una specie di luce che forse non si riaccenderà più. Angela è silenziosa ed è un silenzio che sembra davvero insondabile, un silenzio che rimanda alla immobile e silenziosa aria che si respira nel deserto che attraversa e che sembra infinito, ma al tempo stesso finito dentro i confini angusti del mondo di Angela. Miguel Mejias qui alla sua prima prova di regia in un lungometraggio, in concorso e in anteprima mondiale allo ShorTS 2020, esplora il suo personaggio femminile e grazie alla sensibilità di Ángela Boix riesce a restituire la profonda insoddisfazione che caratterizza il personaggio, segnato da un inspiegabile mal di vivere. Una incomprensibile angoscia, sempre disegnata sul volto della espressiva Boix, che non è mai placata né dal lavoro interiore condotto su stessa, né dalla ricerca di una memoria materna attraverso l’uso della cinepresa quando filma gli insetti del deserto, a volte negli istanti finali della vita, o durante la lotta per la sopravvivenza. Nulla sembra potere avere effetto positivo su di lei. La viajante si trasforma così, pur in quegli spazi del deserto, in un film che sembra non lasciare via d’uscita alla sua protagonista, immobilizzata in quell’ansioso desiderio di uscire da un labirinto dentro il quale forse gli eventi della vita l’hanno cacciata. Né sa soddisfare le proprie pulsioni sessuali, anzi diventa amplificazione della sua malattia l’incontro con lo sconosciuto viandante, in cerca, a sua volta di se stesso, con istinti suicidi e con chissà quali altre terribili storie alle spalle.

 

 

Mejias trova forse la forma giusta per lavorare sull’assenza, La viajante è un film di assenze, di vuoti e di mancanze, un po’ come il metaforico deserto, un po’ come l’immagine assente della madre, immagine mancante che solo il cinema, le immagini, ma fragili, anch’esse, sembra possano restituire come surrogato di una incombenza di sentimenti che non sanno trovare sfogo. Il film del regista catalano, sembra essere tutto trattenuto dentro queste coordinate, vivere di queste privazioni, senza mai uno sfogo reale nel quale trovare le complete macerie sulle quali ricostruire. Da qui il suo profondo e manifesto pessimismo dal quale deriva una reale e insopprimibile incapacità di comunicare. In questa sfumatura, il film di Mejias trova delle deboli assonanze con il cinema di Antonioni, sebbene, quello del maestro ferrarese, riuscisse ad esprimere un orizzonte più vasto, una incomunicabilità non personalistica che diventa solipsismo, ma collettiva, che guardava, con l’ampiezza di sguardo di un attento e profondo osservatore, ad una fase storica e sociale in cui vari fattori e contingenze determinavano quella frattura alienante nei rapporti personali. In La viajante, titolo quanto mai esplicativo di una condizione di eterna ricerca, ma anche di negato approdo, la sua attenzione si limita al personaggio, Mejias fa dell’introspezione, ma non alza mai gli occhi, non si occupa di altro, se non, con l’approccio da entomologo, della sua Angela. Un film che, segno dei tempi, non offre sguardi consolatori, non indica percorsi precisi, in qual vagare, che potrebbe apparire circolare nel deserto, ma anche un film tutto chiuso in se stesso, codificato secondo il linguaggio personale della sua protagonista che accumula ricordi e sensazioni senza dare soluzione al suo costante malessere. Un cinema che nel bene e nel male, nel suo scontrarsi/incontrarsi anche con un passato cinematografico glorioso, mostra anche i suoi limiti e acclara, ancora una volta, l’incertezza dei tempi e l’inesistenza di ricette che consentano una soluzione. Angela non sa trovare rimedi alla sua condizione, naviga a vista e senza progetto e questo accade anche alle esistenze dei molti dentro le quali Angela sembra riflettersi.