«A nove anni ero una bambina molto tranquilla», inizia così Le inseparabili (Ponte alle Grazie, pag.208, euro 15, da ieri in libreria nella traduzione di Isabella Mattazzi), racconto del legame tra Simone de Beauvoir (nella finzione Sylvie Lepage) ed Elisabeth Lacoin, detta Zaza (che nel libro diventa Andrée Gallard). Un legame profondo che nasce nel 1917 alla scuola cattolica Adeline Désir e dura fino al 1929 quando viene interrotto dall’improvvisa morte di Zaza per encefalite virale. Fin da subito è grande l’attrazione di Sylvie per questa «bambina sconosciuta: una bruna dalle guance scavate, che mi sembrò molto più piccola di me». In realtà pochi mesi le separano: «se sembro più piccola – spiega Andrée – è perché mi sono ustionata e per questo non sono cresciuta molto». Un incidente che agli occhi di Sylvie è motivo di fascino: «A me non era mai successo niente di così interessante. Improvvisamente mi sembrava che non mi fosse mai successo niente di niente». L’irriverenza e la disinvoltura dimostrate fin da subito da Andrée fanno il resto e le due diventano inseparabili. Entrambe provengono da ambienti borghesi e questo le obbliga a darsi del lei (in Italia, può sembrare incomprensibile, ma il vous francese è ancora oggi molto praticato e ha una sua ragion d’essere).
In Sylvie la fascinazione è forte, si scopre turbata quando Andrée si stringe alla madre e commenta: «io distoglievo lo sguardo con un malessere in cui c’erano sicuramente gelosia, forse anche invidia, e quella specie di paura che proviamo ogni volta di fronte a un mistero». E ancora «passavamo ore a discutere: era un piacere nuovo», così come è un piacere osservare Andrée che ha una forte personalità, e alla quale vengono affidati compiti da adulta all’interno della sua numerosa famiglia. Il tempo passa e nel ritrovarsi a scuola l’anno successivo, Sylvie si rende conto che non si tratta più di semplice fascinazione, ma di vero e proprio innamoramento: «capii subito, con stupore e gioia, che il vuoto del mio cuore, il fondo cupo delle mie giornate avevano una sola causa: l’assenza di Andrée. Vivere senza di lei non era vivere», o ancora: «Amavo Andrée sopra ogni cosa e lei era qui accanto a me». Un innamoramento che assume tratti quasi religiosi, quando può avere accesso alla camera di Andrée per fare i compiti: «Ogni volta che entravo in camera sua, era così tanta l’emozione che quasi mi sarei fatta il segno della croce». Ma si tratta di un innamoramento a senso unico, non corrisposto: «Era questo che mi faceva soffrire maggiormente: ignorava del tutto, me ne ero appena resa conto, i sentimenti che provavo nei suoi confronti». Altri si accorgono invece del loro particolare legame: «la scuola non vedeva di buon occhio la nostra amicizia» e nemmeno la madre di Andrée che inizia a farsi sospettosa: «Avevo appena realizzato che a Madame Gallard non piacevo più». Il tempo passa, Sylvie prosegue il suo percorso di crescita, si allontana definitivamente dalla religione in cui, invece, Andrée è sempre più invischiata e acquisisce maggiore consapevolezza anche nei confronti dell’amica: «Avevo invidiato spesso l’indipendenza di Andrée; a un tratto mi sembrò molto meno libera di me. C’era tutto un passato dietro di lei; e intorno a lei quella grande casa, quella famiglia numerosa: una prigione dalle vie d’uscita sicuramente sorvegliate».
L’amore rimane e viene dichiarato («Lei non lo ha mai saputo: ma dal giorno in cui l’ho incontrata, è stata tutto per me […] Avevo deciso che se fosse morta sarei morta anch’io immediatamente»), ma comporta un ribaltamento nei ruoli. In qualche maniera Sylvie si libera di un peso e può continuare il suo percorso di emancipazione («Dalla notte in cui nella cucina di Béthary avevo confessato ad Andrée quanto fosse importante per me, aveva iniziato a esserlo un po’ meno. Tenevo sempre enormemente a lei, ma adesso c’era anche il resto del mondo, e c’ero io: lei non era più il mio tutto»), mentre Andrée cede alle pressioni e ai desideri della famiglia ritrovandosi sempre più vincolata, suo malgrado, al ruolo di «giovane ragazza di mondo» timorata di Dio. D’ora in avanti sarà lei a ricorrere maggiormente ai consigli e al confronto con Sylvie. L’arrivo nella sua vita di Pascal Blondel (nella realtà Maurice Merleau-Ponty), l’amico di Sylvie di cui Andrée si innamora ricambiata, non farà che acuire il disagio di dover interpretare un ruolo senza poter essere se stessa, finendo letteralmente sacrificata sull’altare della famiglia con la sua rigida morale cattolica.
Un racconto autobiografico, con nomi e situazioni trasformati, in cui ci sono i temi cari a Simone de Beauvoir, in primis l’emancipazione della donna dalla famiglia e nella società. Scritto nel 1954 non convinceva la de Beauvoir che scelse di non pubblicarlo (appoggiata da Jean-Paul Sartre come afferma lei stessa in La forza delle cose (1963): «storse il naso. […] Non avrei potuto essere più d’accordo: la storia sembrava non avere una necessità interna e non riusciva a trattenere l’interesse del lettore»), ma che la tormentava e su cui tornò in varie occasioni. Se è vero che la de Beauvoir ha scritto praticamente solo in chiave autobiografica, questo avvincente racconto aggiunge un ulteriore, importante, tassello. Particolarmente interessante risulta l’analisi dell’amicizia tra le due bambine, fatta in maniera puntuale e veritiera, così come il gioco di ruoli attesi e disattesi a tutti i livelli, nell’amicizia, nella famiglia ultra-conservatrice, nella società. A distanza di un secolo, Simone de Beauvoir rimane un faro nel pensiero e nelle azioni e seguire nuovamente il suo lento ma inesorabile distacco dalla religione, che nell’infanzia è «un gioco molto divertente», ma poi, a nove anni, quando la ragione prende il sopravvento, emerge in tutte le sue contraddizioni («Come si può credere in Dio e scegliere deliberatamente di disobbedirgli? Per un attimo rimasi stordita: non ero credente»), così come la sua emancipazione, affermata sempre con grande autoironia («Spesso, egoisticamente, mi rallegravo che i bolscevichi e l’ingiustizia della vita avessero rovinato mio padre: ero obbligata a lavorare») è un piacere che Le inseparabili rinnova a ogni pagina.
Il libro è corredato da una serie di documenti iconografici: si tratta delle foto di Elizabeth e Simone (alcune riproposte nell’articolo) , scattate principalmente a Gagnepan, da sole o insieme e di scatti successivi che immortalano la De Beauvoir con Jean-Paul Sartre, oltre alle riproduzioni di alcune lettere (dal 1920 in cui Simone si firma “votre inséparabile” al 1929, pochi giorni prima della morte di Zaza) e che vengono tradotte nelle pagine successive.