Se c’è un mondo privato, dentro il quale muoversi provando a rimettere perennemente le cose in ordine e mediare i bisogni di una famiglia numerosa, e un mondo esterno, nel quale compiere il proprio dovere in una catena ininterrotta di occasioni in cui dimostrare quello che si è autenticamente, Nora, immigrata a Marsiglia, fa da cerniera a questi due mondi contigui e li attraversa con la dignità dell’onestà e il peso di una fatica che sa farsi invisibile. Bonne mère di Hafsia Herzi – già premiata come migliore attrice esordiente alla 64° Mostra del cinema di Venezia per Cous Cous di Abdellatif Kechiche e qui alla sua seconda prova di regia – si muove dentro scenari di un quotidiano che conosciamo, ma soprattutto dentro i semplici sentimenti di Nora, la sua protagonista che ogni mattina si alza alle 5 per andare al lavoro in aeroporto, dove con altri quattro colleghi, che considera ormai parte della sua famiglia, fa le pulizie sugli aerei. Integra il suo stipendio facendo anche la badante e anche qui sa istituire rapporti quasi familiari con l’anziana signora cui bada con attenzione e affetto quasi filiale. Nora è una chiocciola che porta con sé la sua casa dappertutto con un incessante bisogno di famiglia, porta sul viso, bonario e sorridente e mai incline alla rabbia o all’ostilità, la sua disponibilità al mondo, che sa riversarsi nei legami familiari con le tonalità e le sfumature necessarie. Accondiscendente e disponibile a trasgredire per amore del figlio in carcere, provando ad essere inflessibile con chi dei figli invece si mostra disposto a infrangere le regole scritte o non scritte della legge morale. Quelle stesse regole universali che maternamente dispensa la Bonne mère di Marsiglia dal santuario che domina la città e alla quale la musulmana Nora rivolge uno sguardo amorevole, in quella comunanza di intenzioni benevole che non conosce steccati religiosi.
Hafsia Herzi parla di ciò che conosce, dei quartieri nord di Marsiglia, quelli nei quali è vissuta, del mondo dei giovani ormai francesi, ma con dentro il segno di un’origine che li lascia ai margini in una precarietà esistenziale che li rende smarriti. Nora si muove in questi mondi che trovano spazio nei suoi pensieri e cela ai figli parte della sua vita, rassegnandosi a percepire come celata quella loro. Film di emozioni trattenute, laddove nei primi piani, nei quali il film trova quella distanza naturale con i suoi personaggi e al tempo stesso quella misura per attribuire a ciascuno una precisa identità caratteriale, tutto sembra fluire dentro le lunghe conversazioni, i lunghi e mai noiosi o superflui dialoghi, che invece ridefiniscono i piani della convivenza, restituiscono alla narrazione quella modalità personale che Herzi ha scelto per il suo film. Un approccio che forse nasce dall’avere saputo mettere a frutto gli insegnamenti di Kechiche, che proprio in Cous Cous ci ha saputo fare apprezzare quello che fino ad allora, se non in rare e misurate occasioni, avremmo detto fosse un eccesso di dialoghi, un profluvio di parole. Herzi sa dosare questa sua dimensione autoriale e se impone una drammatizzazione che si rivela dalle parole, piuttosto che dagli eventi, questo non toglie nulla alla sua dimensione di autrice e, regista che anzi rivela le sue capacità di dominare con efficacia e forme di originale invenzione l’ampio spettro di un cinema intimo e al tempo stesso aperto verso il mondo, in una lezione di fiducia e di affidamento a quel sentimento che fa a meno di ogni rabbioso risentimento.
Bonne mère, nel confermare l’ottimo stato di salute del cinema francese, anche grazie alle autrici come Hafsia Herzi, lavora sugli intrecci familiari, con un ennesimo personaggio femminile al centro della scena, come accade di sovente nella recente produzione di area francofona. Sarebbero troppi gli esempi possibili per una cinematografia che sa coraggiosamente rischiare nel produrre, ad esempio, un film come questo, perfino vulnerabile e fragile. Una ricerca che approda ad un efficace e nuovo indirizzo espressivo, a quello sguardo diretto sulle cose delle sue registe, quello stesso sguardo che adopera la giovane Herzi nel raccontare la sensibilità di Nora, il suo coraggio silenzioso, la difficoltà del vivere che diventa povertà endemica, in questo sfondo fatto anche di sottili trame quasi segrete, di rinunce e precognizioni divinatorie, per salvare la speranza del futuro. Bonne mère ci svela così i suoi personaggi e la fitta rete di relazioni familiari che sa reggere agli urti che subisce, ai naturali conflitti, sempre latenti, ma sanabili, sa svelarci la rassegnata pazienza di Nora in quella intimità degli intensi primi o primissimi piani che scrutano le pieghe delle sue emozioni restituendoceli integri nelle immagini rivelatrici del film.