In un futuro distopico ogni mattina un’applicazione digitale situata all’interno delle unità abitative delle persone monitora il loro stato emotivo. Un’autorità non identificata esercita il suo potere vietando loro di dare sfogo alle proprie emozioni e di ballare, forma di libera espressione per eccellenza, pena l’essere trasformati in rose. Per Ermes (Pietro Turano) e Didi (Eugenia Delbue) questo è un giorno diverso dagli altri: sono stati invitati, infatti, in discoteca, luogo ormai adibito a spazio di incontro dove uomini e donne devono compiere un rigoroso rituale volto a favorire la riproduzione della specie. Il Babilonia è una discoteca abitata dalla tiranna Sylvester (Eva Robin’s) che detta le regole da seguire, ma in pista, tra i propri gesti e ricordi, Ermes e Didi troveranno il modo di attuare una trasformazione sorprendente. Questa la sinossi de La Discoteca, cortometraggio prodotto da NOS Visual Arts Production con il sostegno della Direzione Generale Creatività Contemporanea, Ministero della Cultura, e vincitore dell’ottava edizione dell’Italian Council, che rappresenta l’esordio alla regia dell’artista visivo Jacopo Miliani. La pratica di Miliani, classe 1979, si sviluppa nel solco tra le arti visive e la performatività contemporanea, intrecciandosi alle tematiche di genere e a una puntuale riflessione sul linguaggio. (in apertura un’immagine di Jacopo Miliani, La Discoteca, 2021, Courtesy l’artista e Centro Pecci per l’arte contemporanea, Prato).
La Discoteca rappresenta un’evoluzione e al contempo una sintesi della ricerca di Miliani sui temi del corpo, del tempo queer, della costruzione dell’identità, della danza, dei luoghi comunitari e dell’autoperformatività. Il film si basa sulle nozioni di ‘queer time’ e ‘queer utopia’, proposte da Lee Edelman e José Esteban Munoz, che mettono in discussione gli imperativi del ‘futurismo riproduttivo’ della società occidentale, dove il concetto di futuro è strettamente legato a quello di famiglia eteronormata; associando la prospettiva omosessuale e queer a quella femminile, la pellicola invita inoltre a riflettere sullo stereotipo della maternità quale condizione imprescindibile della realizzazione della donna. In questa opera prima simbolismo floreale e visioni oniriche surreali restituiscono una narrazione in costante apertura e dialogo con lo spettatore, auspicando un abbandono e una trasformazione tanto di quest’ultimo che dei protagonisti. Ma chi sono i veri protagonisti? Qual è il nodo semiotico attraverso il quale si dipana la significaizione di questo “elettrico” cortometraggio? Una rosa è una rosa? O una rosa sviluppa i denti nella bocca di una bestia? Stein, Wittgenstein o Shibusawa? La centralità del fiore, simbolo di fertilità e femminilità, si manifesta sin dalla prima inquadratura, nella quale è esso a creare il movimento di un umano che non ha identità. Miliani ci invita a lasciarci andare, a danzare, ad abbandonare qualsiasi cliché in favore di una libertà di visione che è libertà di essere, di esistere. La Discoteca è stato presentato in diversi Festival, tra i quali Gender Bender (Bologna), MiX (Milano) e da poco al Big (Bari) ed entrerà nella collezione permanete del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato.