Tra il 2017 e oggi sono scomparsi Alan D. Altieri, Andrea G. Pinketts, Stefano Di Marino alias Stephen Gunn e Valerio Evangelisti. Il gotha della letteratura popolare italiana, la mia personale “compagnia della malora”, ci ha lasciato in un lustro. Quattro scrittori molto diversi tra loro, sia ben chiaro, con ambizioni e formazione anche lontanissime (Sergio Altieri era ingegnere, Evangelisti uno storico dei movimenti sociali) oserei dire distanti da un punto di vista politico benché accomunati dallo stesso anticonformismo radicale. A parte la stima e l’amicizia certa tra Valerio e Sergio, non so neanche cosa l’uno pensasse degli altri, benché Stefano, nei confronti di Evangelisti, dimostrasse la reverenza che si deve al Magister. Tutti e quattro però hanno avuto in comune due cose: perfezionismo e nobiltà. Perfezionismo significa estremo rigore del mestiere, una dedizione assoluta alla ricerca delle fonti e alla inattaccabilità dei riferimenti, un’attenzione (per Sergio e Andrea spasmodica) al “senso della frase”, in una parola allo stile, apparentemente neutro in Di Marino e Evangelisti, in verità estremamente sofisticato in quest’ultimo, e invece barocco e tonitruante in Altieri e proverbialmente pindarico in Pinketts. Anche nel loro caso riferimenti altissimi si possono trovare (Manchette per Evangelisti, Frédéric Dard per Pinketts) ma resta l’originalità di fondo, tanto che di tutti e quattro, rispetto alla letteratura di genere conseguente, potremmo d’ora in avanti dire che è «alla Stephen Gunn» o «alla Alan D. Altieri» sancendo come loro, e solo loro, abbiano creato un precedente. Non voglio fare un paragone tra la letteratura “alta” dei Veronesi, Lagioia, Siti, Piccolo, Piperno, Parrella, Cognetti, Scurati… e quella cosiddetta “bassa” della mia compagnia della malora, tanto dove batta il mio cuore, e chi io consideri superiore, è evidente (però, a scanso di equivoci: di tutti i citati ho letto almeno un libro, e qualcuno – La città dei vivi di Lagioia, Mosca più balena di Parrella e M: il figlio del secolo di Scurati – l’ho pure molto apprezzato), solo rimarcare rispetto agli “alti” la seconda cosa che accomuna i “bassi”. “Nobiltà” in che senso? (In apertura Alan D. Altieri).
Evangelisti ci ha scritto sopra un sacco di saggi critici raccolti nella trilogia inaugurata più di vent’anni fa con l’eccellente volume Alla periferia di Alphaville, ha cioè teorizzato il massimalismo della letteratura popolare, il fatto che se vuoi avere anticipazioni sui rischi della catastrofe ecologica o i prodromi della terza guerra mondiale leggi Altieri, non Cognetti; per gli sconvolgimenti geopolitici che anche oggi tutti ci riguardano Stephen Gunn è molto meglio di Scurati, mentre sulle reali conseguenze antropologiche del neoliberismo e delle sue pratiche assassine e manipolatorie, Evangelisti non lo batte nessuno. La compagnia della malora ha trasformato la scrittura da intrattenimento, quella che con il ditino alzato i critici letterari del secolo scorso definivano “paraletteratura”, o gli intellettuali francesi “da treno”, in qualcosa appunto di nobile e formativo. All’Università dell’Insubria, nel corso di laurea di Storia e storie del mondo contemporaneo, insegno una materia battezzata Forme del cinema di genere. Come libro propedeutico alla preparazione dell’esame ho messo Metallo urlante di Valerio Evangelisti. Voglio essere sicuro che almeno i miei studenti e le mie studentesse ventenni abbiano la possibilità di incrociare una volta nella vita un suo testo, per rendersi conto di come attraverso l’elaborazione del fantastico (cinematografico o letterario) possano essere affrontati con cognizione di causa e, appunto, rigore, argomenti quali il razzismo, il conflitto sociale, la manipolazione culturale e la storia con la maiuscola, punto di partenza del nostro percorso didattico. Pazienza invece se nella vita non leggeranno mai Veronesi o Siti. Vorrei concludere così. La dicitura “compagnia della malora” l’ho rubata a Loriano Macchiavelli, il decano dei giallisti italiani, che naturalmente ne fa parte insieme a Massimo Carlotto e al primo Giuseppe Genna (quello di Catrame e Lopez, per intenderci), ma è una compagnia ristretta, difficile entrarci, non basta un singolo bel libro bisogna anzi dimostrare una vocazione autentica al massimalismo di cui sopra, e per ora adesioni all’orizzonte purtroppo non ne vedo.