Il mondo di Di Costanzo, così come egli stesso ce lo mostra con alcuni dei suoi film, è un mondo fatto di ideale pedagogia, di riflessione sul metodo di apprendimento di quella difficile realtà che i suoi protagonisti vivono. Già con Intervallo del 2012 aveva messo alla prova i suoi giovanissimi personaggi dentro un racconto duro e quasi estremo, ma in fondo anche formativo, per saggiare una specie di solitudine forzata ma con l’incombere di un mondo violento come lo è la metropoli dominata dalla camorra. Anche L’intrusa del 2017 diventa pedagogia dell’accoglienza, se pensiamo alla donna di camorra che cominciando a rifiutare quel mondo si rifugia, anche qui nella solitudine quasi assoluta, in un quartiere dove non è gradita. Poi Ariaferma, che sembra la logica conseguenza di questo percorso, diventa auto-pedagogia per il protagonista Carmine che mantenendo il suo carisma di boss della malavita impara però il confronto, impara l’umiltà della sconfitta. (In apertura una immagine di Procida)
È su questi capisaldi che il FilmmakerFest di Milano accoglie i lavori di Di Costanzo all’interno del suo palinsesto ed è su questa stessa scia che i due film del regista napoletano trovano un incrocio, trovano un nesso e anche una relazione di causa-effetto. Procida e Welcome to Paradise, il primo un mediometraggio e il secondo un cortometraggio, nascono da esperienze didattiche che costituiscono il retrobottega operoso del lavoro dell’autore, che proprio per questo nel primo dei due si riserva solo un posto di supervisore artistico-pedagogico, mentre si assume la responsabilità della regia nel secondo dei due lavori previsti nella rassegna milanese. Procida realizzato grazie all’impegno professionale, benché tutti agli esordi, di un nutrito gruppo di giovani che si suddividono il lavoro tecnico e artistico, utilizzando evidentemente fondi a fini produttivi previsti in virtù della selezione di Procida quale capitale della cultura italiana per il 2022. È essenzialmente questo l’ambito in cui va iscritta l’operazione, finalizzando l’esito ad una indagine semi sentimentale sull’isola, forse una delle meno conosciute dell’arcipelago delle isole Flegree. Il film firmato a più mani – e vale la pena di citare i giovani autori: Cecilia Catani, Giorgia Ciraolo, Enrica Daniele, Valentina Esposito, Dario Fusco, Angela Giordano, Simone Grieco, Rebecca Gugliara, Ernesto Raimondi, Giorgia Ricciardiello, Nina Rossano, Lucia Senatore – interseca il passato e il presente dell’isole e a fare da trait d’union tra questi due tempi, le storie procidane, autoctone o, scopriamo, anche di abitanti che hanno scelto la vita sull’isola lontano dai luoghi di nascita. Dalla parigina che da molti anni è ospite dell’isola per una vacanza attesa tutto l’anno, alla vedova inglese approdata anni addietro a Procida e radicata ormai nelle sue abitudini anche dopo la scomparsa del marito procidano, al racconto del capitano di lungo corso, ormai in pensione che rievoca il suo passato di innamorato della più giovane moglie che intanto si schernisce.
Accanto a queste storie i silenzi del mare o le voci dei pescatori, le piccole storie quotidiane del “cosa si mangerà a pranzo” o la festa giovanile per il migliore tuffo da un lungo e stretto pontile o le perdonabili monellerie dei più piccoli abitanti dal viso furbo e dalla vivace curiosità. Per questo si diceva di un ritratto semi sentimentale, perché i sentimenti d’amore per i luoghi, come sempre, attraversano le immagini e le riempiono di significati mutevoli. Più strettamente narrativo il cortometraggio Welcome to Paradise già presente nel Fuori concorso della sezione corti di Venezia80. La storia di due solitudini che non sanno incrociarsi. Fausto è un giovane accusato da alcuni altri suoi coetanei di furto e per questo lo chiudono in una baracca. Nadia è casualmente lì perché accudisce un gattino che si è rifugiato tra le masserizie del luogo. Sarà lei a farlo uscire dalla baracca, ma non si farà vedere, il suo occhio tappato da una benda la mette a disagio. Scoprirà che Fausto gestisce un tiro a segno nel luna park del paese, ma Nadia non si farà riconoscere, restando muta ad una domanda di Fausto. Anche questo piccolo, ma denso lavoro, che si gioca più sui silenzi che sui dialoghi, sulla difficoltà tutta adolescenziale della difficoltà di comunicare e più sul fuori campo delle storie portate dai due personaggi, che su quello che accade sullo schermo che appare solo un felice e sintomatico residuo, nasce produttivamente da una esperienza di gruppo, ma la regia è dello stesso Di Costanzo su una sceneggiatura di Alessandra Russo, la troupe è invece formata da giovani maestranze e la produzione è di “Bottega XNL – Fare Cinema” corso della Fondazione “Fare Cinema” di Marco Bellocchio. Un altro modo di lavorare sul futuro accentuando così il pedagogismo cinematografico di Di Costanzo e il suo occhio attento alle solitudini giovanili, che anche il cinema può aiutare a vincere.