La disperazione che non si vede: 100 litri di birra di Teemu Nikki

Il tratto unificante del cinema nord europeo è stato sempre quello rivolto verso una interiorità contraddittoria, in un percorso di trascendenza che incrocia l’esistenza terrena e l’aspirazione ad una perfezione ultraterrena. Ci hanno lavorato su questo il danese Dreyer e lo svedese Bergman. Difficile astrarsi da questi due giganti del cinema quando si scende nel particolare di quei film che si producono a quelle latitudini. Quella ricerca si è modificata ed è arrivato il cinismo esistenziale e freddo del finlandese Aki Kaurismaki che ha mascherato la disperazione con la glacialità di un umorismo sommesso ma tagliente. Più di recente, sempre in quell’area geografica film come Un altro giro del danese Thomas Vinterberg e La morte è un problema dei vivi del finlandese Teemu Nikki, su quelle tracce continuano a mutare il corpo complessivo di quel cinema, accentuando i temi di una sorta di genetica disperazione senza soluzione, che nel film di Nikki sembra essere arrivata all’ineluttabile grado zero di ogni altra riflessione.

 

 
Ugualmente disperato nella sua originaria ideazione è questo 100 litri di birra, il nuovo film del già citato finlandese Teemu Nikki. È la storia di due sorelle Pirkko e Taina che vivono insieme facendo il sahti, una birra finlandese artigianale. Taina vive nell’incubo di un incidente d’auto di trent’anni prima, di cui si sente responsabile per avere causato la perdita di una gamba alla più giovane sorella Paivi. Sarà proprio quest’ultima ad ordinare alle sorelle 100 litri di birra per il suo matrimonio. Il tempo non è molto, ma è sicuro che le sorelle, nonostante siano due alle quali piace molto indulgere al bere e soprattutto il sahti, saranno in grado di adempiere all’impegno. Se La morte è un problema dei vivi, per la trasversalità del suo approccio ad un tema così complesso, sapeva superare persino il suo valore artistico grazie alla sua natura di commedia nera, dotata di una ironia sferzante e quindi spiazzante per la sua originalità, va detto che il nuovo film del regista finlandese non possiede la stessa forza evocativa.

 

 
Del tutto prevedibile nel suo sviluppo, oltre che poco originale nella sua struttura di finta buddy buddy comedy, 100 litri di birra si spinge in una riflessione non proprio nuova su una condizione esistenziale che nell’uso smodato di alcol annega il trauma e l’incapacità di possedere una propria vita. Il film indulge sulle disavventure prevedibili delle due sorelle, piuttosto incapaci di relazionarsi pacificamente con il mondo, e il loro alcolismo, che si spiega con un passato altrettanto disperato, finisce con il rompere quel rapporto di complicità, quel naturale legame empatico che dovrebbe fare simpatizzare lo spettatore con i protagonisti. Nulla di nuovo dunque sotto il cielo di Finlandia con 100 litri di birra, che sembra non finalizzato a quel cinismo che serve a cauterizzare i segni dei dolori dell’esistenza: la sua struttura da commedia si rompe con la (telefonata) rivelazione che ribalta i rapporti tra le due sorelle, che non fa scaturire il dramma perché non c’è più tempo.